A casa, nel mondo

Assistenza e tutela in Svizzera Romanda ai tempi del Covid-19

Dario Natale
10 Luglio 2020

Bisogni, diritti e tutela dell’emigrazione italiana in epoca di pandemia. Un racconto del lavoro dell’associazione Mobilità, Diritti e Cittadinanze da Ginevra

In questi mesi di difficoltà, inizialmente con la testa e lo sguardo rivolti ai giornali ed ai bollettini della Protezione Civile, siamo entrati in una fase di rallentamento delle nostre vite, delle nostre attività e del nostro lavoro. Se non fossimo stati obbligati a farlo per via di un virus non ci avrebbe fatto poi così male. Questo rallentamento è avvenuto in misura diversa un po’ ovunque, in Italia e poi a catena in Francia, in Spagna, in Germania e Belgio e poi a seguire, dove con forza e dove lentamente, fino ad arrivare oltremanica ed oltreoceano con la situazione che in questi giorni vivono negli Stati Uniti. Ascoltare inermi giorno per giorno le statistiche ed i grafici del contagio è stato difficile e forse lo è stato e lo è, chiedo venia ancor di più, se lo si vive all’estero e con le lenti della migrazione. Ma come i nostri assistiti in Svizzera hanno affrontato il Covid-19?

Stiamo ai fatti, ci affacciamo finalmente a nuove utenze e gruppi di giovani ma i nostri assistiti non sono tutti dei giovanotti. Molti sono ancora pensionati, ma nonostante le difficoltà di questi mesi siamo riusciti a collaborare e ad assicurare una continuità di lavoro anche con loro. Fondamentale è stato il contatto con le loro famiglie ed in questi mesi la vicinanza ancor più. Abbiamo continuato il nostro lavoro, da casa con riunioni coi colleghi su Skype e discussioni, spesso anche animate e combattive, su come procedere in questa fase di difficoltà.

I nostri assistiti ci hanno chiamato e abbiamo avuto spesso modo di parlare con loro.

Tra le tante storie che ci hanno raccontato ce n’è una che ci ha colpito particolarmente. La storia è quella di Silvia, una giovane signora classe 1926, a Ginevra in un EMS, una casa di riposo, che dopo un tampone negativo a marzo è rimasta confinata nella casa di riposo nella quale era domiciliata oramai da mesi. All’inizio del mese di aprile, al secondo tampone, Silvia è risultata positiva. E da lì, come ci ha raccontato suo figlio Guido, l’incubo è iniziato con l’impossibilità di vederla, le informazioni frammentate ed il confinamento che si appesantiva di nuove norme, con la curva dei contagi che cominciava a salire anche a Ginevra.  A fine aprile abbiamo deciso di richiamare Guido. Nonostante le difficoltà vissute, con l’umore di sempre ci ha raccontato di esser riuscito a vedere sua madre, attraverso un vetro divisorio della casa di riposo, per salutarla e parlarle. Silvia era emozionata. Ora è finita, resta cauta la situazione ma Silvia sembra essere fuori dal pericolo.

Tutela della salute dei lavoratori e tutela dei nostri assistiti sono state le linee guida di questi giorni. Ci siamo lanciati in questa sfida ed abbiamo assicurato massima disponibilità alla nostra utenza. Alcuni dei nostri assistiti incautamente ci chiedevano di riceverli in ufficio, forse stremati anche loro dal confinamento, che ha messo a dura prova soprattutto, forse, proprio quella generazione che non è mai stata avvezza a passare le sue giornate davanti a un tablet o a guardare la TV. Quella generazione ancora adesso ha bisogno di spazio. Quello spazio e quei diritti per i quali cerchiamo di lavorare ogni giorno.

Il ruolo di operatore è stato importante in questi giorni e non deve venire meno. Nuovi mezzi di comunicazione e nuove procedure online cominciano a diventare la norma in un campo, quello della previdenza sociale, che è stato storicamente tra i più restii alla rivoluzione digitale. Ma non dobbiamo dimenticare quanto sia fondamentale la nostra presenza sul territorio, mirando ad allargare le maglie di una assistenza che è il fulcro delle nostre attività.

Un altro aspetto fondamentale che ci ha permesso di espletare il nostro lavoro in autonomia nel rispetto delle normative vigenti è stata anche la rete di rapporti costruita negli anni in questo Paese. Quella istituzionale, che comprende ambasciata e consolati, quella sociale con i sindacati presenti sul territorio e quella di collaborazione con le realtà presenti sul territorio come le Casse cantonali e professionali e gli istituti di previdenza di secondo pilastro.

Il rapporto con il tessuto sociale e istituzionale, a volte dettato dalla collaborazione coi comuni e con i consigli cittadini, a volte grazie alla collaborazione con il personale consolare è stato fondamentale nel prosieguo delle attività. Il legame storico con la base sindacale più grande della Confederazione Elvetica che è quella di Unia, ci ha assicurato continuità e garantito la collaborazione in ogni momento. Grazie anche a queste partnership cerchiamo ogni giorno soluzioni per migliorare la condizione dei nostri assistiti e di chi ha difficoltà nel campo della previdenza e del sociale. Siamo attenti ai bisogni degli ultimi, abbiamo anche all’estero assistiti che sono sans-papiers o apolidi o semplicemente persone in difficoltà, italiani e non.

Oltre alle pensioni, campo sul quale forse i nostri servizi e le nostre utenze si sono incentrate di più negli anni, oggi sono svariati i servizi che offriamo e che passano da riconoscimenti per permessi di soggiorno e rinnovo di documenti di identità, consigli in materia fiscale e di previdenza, la richiesta tramite il portale del Ministero della cittadinanza italiana, ancora fondamentale anche qui per chi non ha la possibilità in prima istanza di richiedere il riconoscimento dello status di cittadino svizzero. A tutto ciò si aggiunge la richiesta di sussidi, di assegni sociali erogati dai cantoni, data la difficoltà di vivere in uno dei Paesi, la Svizzera, con il più alto costo della vita in Europa. Fondamentale dunque, per comprendere al meglio il proprio lavoro, è comprendere le dinamiche singole di ogni nucleo e di ogni città interpretando al meglio quelli che sono e che saranno i bisogni delle categorie sociali in difficoltà e cercare di accompagnarle in questi passaggi cruciali della vita.

Proprio qui a Ginevra, come a Losanna e Neuchâtel, il nostro lavoro è servito e speriamo servirà ancora a questo. Ci siamo attrezzati con mascherine, soluzioni disinfettanti e pareti divisorie per accogliere i nostri assistiti nei prossimi mesi in sicurezza e rispettando le norme di distanziamento sociale stabilite dalla Confederazione Elvetica. Lo facciamo perché oltre all’assistenza, abbiamo un obbligo di tutela della salute dei nostri assistiti.

E fino a quando continueranno ad avere bisogno di noi, noi cercheremo di essere lì. Cercheremo di collaborare nel migliore dei modi perché, come ci ha insegnato la nostra esperienza di migranti e come ci raccontano le pagine di Itaca, i nostri assistiti devono sentirsi “A casa, nel mondo”.