A casa, nel mondo

Nel suo discorso di settembre a Firenze e con una lettera successiva, la premier britannica Theresa May ha rassicurato gli oltre 600.000 italiani nel Regno Unito e i tre milioni di cittadini comunitari che i loro diritti non subiranno mutamenti dopo l’uscita del Regno dall’Unione Europea. E’ davvero così?

Si sono da poco conclusi il quinto round di negoziati e l’ultimo summit europeo a Bruxelles: facciamo il punto sulla questione dei diritti dei cittadini UE in UK.

In passato, il Governo Britannico aveva annunciato che la libertà di circolazione dei cittadini europei nel Regno Unito, così come attualmente disciplinata dalla normativa europea, sarebbe terminata con l’uscita definitiva del Paese dall’Unione, a marzo 2019. Ma a Firenze May ha annunciato la disponibilità del Regno Unito ad un “periodo di transizione” post-Brexit di due anni, durante i quali i regolamenti europei continuerebbero a trovare applicazione nel Paese, ed ha concesso di inserire la tutela dei diritti dei cittadini europei residenti in UK nel trattato sull’uscita del Paese dall’UE, in modo da salvaguardarli anche in futuro.

L’UE, dal canto suo, ha chiesto al Regno Unito di riconoscere la residenza permanente a tutti i cittadini europei residenti in UK che l’avessero ottenuta (secondo le attuali normative europee) al momento dell’uscita del Paese dall’Unione, e di consentire a coloro che non avessero ancora maturato tale diritto, di poterla ottenere.

L’attuale proposta del Governo Britannico prevede invece che i cittadini UE residenti dovranno registrare il proprio “settled status” (una sorta di versione riveduta dell’attuale processo di certificazione della “permanent residence”) che, se da un lato non richiederà più il possesso di un’assicurazione sanitaria alle persone cosiddette “non attive”, dall’altro introdurrà l’accertamento dei precedenti penali del richiedente. Nella lettera inviata ai cittadini europei lo scorso 18 ottobre, May ha dichiarato che queste procedure avverranno in maniera semplice e digitalizzata – e ad un costo, peraltro, non superiore a quello necessario per l’ottenimento di un passaporto britannico (attualmente £72.50).

Per coloro che arriveranno nel paese dopo una data limite ancora da stabilire (ma che non sarà più tardi del 30 marzo 2019), invece, secondo le intenzioni della premier May verrà introdotto un sistema di visti di lavoro restrittivo che terrà in considerazione le qualifiche professionali del richiedente.

Naturalmente i movimenti per la difesa dei diritti dei cittadini europei in UK hanno duramente criticato il fatto che il Governo Britannico e l’Unione Europea non abbiano voluto “sganciare” l’accordo sui diritti dei cittadini dal resto dell’accordo di uscita del Regno Unito dall’UE. Ciò, difatti, mette seriamente a repentaglio i diritti degli europei residenti nel Regno Unito: se non si dovesse trovare l’accordo su tutte le materie alla fine dei negoziati, infatti, il loro status di residenti potrebbe tornare ad essere disciplinato dalla legislazione britannica in materia di immigrazione, la quale è assai più restrittiva di quella europea. Giusto per citare un esempio: i ricongiungimenti familiari con persone cittadine di paesi terzi diventerebbero più difficili e sarebbero legati ai livelli di reddito dei richiedenti.

Una questione molto dibattuta, inoltre, è il ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che cesserà di avere giurisdizione in UK dopo la Brexit ma i cui pareri, secondo quanto dichiarato dalla premier britannica, potrebbero ancora essere tenuti in considerazione dai tribunali inglesi – in che forma e in che misura, però, resta tutto da vedere.

C’è infine da sottolineare che, su altre materie assai rilevanti quali la previdenza e l’assistenza sanitaria, UE ed UK sembrano aver subito trovato l’accordo: entrambe le parti assicurano che, per i cittadini europei che abbiano iniziato a lavorare in UK prima dell’uscita del Paese dall’Unione, verranno mantenuti il diritto di “aggregazione” dei contributi previdenziali versati nei paesi dell’attuale Unione ed il sistema di assicurazione sanitaria europea basato sulle carte sanitarie nazionali (EHIC in UK).

Intanto, il teatro politico inglese continua ad essere in fermento.

All’interno del Partito Conservatore si assiste pressoché quotidianamente a schermaglie tra i “Brexiteers” duri e puri come il Ministro degli Esteri Boris Johnson, che spingono per un’uscita del Paese dall’UE senza accordi di compromesso, ed i colleghi (come il Cancelliere Philip Hammond) che invece vorrebbero una soluzione che permetta al Regno Unito di continuare in qualche modo a beneficiare del Mercato Unico dell’UE.

Dall’opposizione, il Partito Laburista sostiene di voler tenere il paese “agganciato” al Mercato Unico, portando avanti una Brexit che metta al centro gli interessi dei lavoratori e non delle aziende, e dando al parlamento un ruolo rilevante nelle negoziazioni. Il partito Liberal Democratico, nettamente europeista (così come i Verdi), vorrebbe un secondo referendum sull’accordo finale. Anche il Partito Nazionale Scozzese vorrebbe mantenere l’accesso al mercato comune e minaccia un nuovo referendum sull’indipendenza della regione se il Regno lascerà l’Unione.

In questo contesto, riteniamo dunque estremamente importante che gli italiani residenti in Gran Bretagna continuino a fare rete con gli altri movimenti europeisti e mantenere alta la pressione sulle istituzioni – nazionali, britanniche ed europee – affinché la tutela dei diritti di tutte le cittadine e tutti i cittadini europei venga sigillata da un accordo chiaro, che ne garantisca il pieno rispetto ed il pieno esercizio, senza retrocessioni, anche successivamente all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.