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La conferenza “Social policy in the European Union: state of play 2018” organizzata da OSE e ETUI per la presentazione dell’omonimo libro, è stata l’occasione per approfondire lo stato attuale delle politiche sociali in Europa e l’impatto che esse hanno e hanno avuto sul benessere di tutti i cittadini.

I volumi “Bilan social de l’Union européenne 2018” e “Social policy in the European Union: state of play 2018”, pubblicati da OSE (Observatoire Social Européen) e ETUI (European Trade Union Institute), e presentati a Bruxelles lo scorso 11 dicembre, contribuiscono alla riflessione sul “dibattito esistenziale” in merito al futuro dell’Europa sociale che ha caratterizzato il 2017, marcato da profonde divisioni tra gli Stati membri sul possibile percorso futuro da intraprendere. La dimensione sociale dell’Europa, oggi, si trova potenzialmente difronte ad un punto di svolta ed è pertanto necessaria una riflessione a lungo termine sul suo avvenire.

“Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali costituisce veramente un’importante svolta per la dimensione sociale dell’UE?”. Con il “Bilancio sociale 2018” i due istituti cercano anzitutto di dare una risposta a questa domanda. Sicuramente, concordano, esso possiede tutto il potenziale per contribuire alla costruzione di un’“Unione sociale europea” più ambiziosa, ma è necessario – avvertono – uno sforzo maggiore da parte di tutti i Paesi membri per far sì che si ottengano risultati positivi.

“Unione sociale europea” è proprio il concetto che, secondo il professore dell’Università di Milano Maurizio Ferrara, meglio si presta a rimpiazzare quello di “Europa sociale”, che, nella sua opinione, non considera e non mette in relazione tutti gli elementi e strumenti di cui l’Unione dispone.

Un’Unione sociale europea, secondo Ferrara, sarebbe in grado di rafforzare la coerenza funzionale, l’efficacia e la legittimità politica dell’UE, attraverso un assemblaggio creativo degli elementi istituzionali esistenti e promuovendo forme di solidarietà paneuropea, come quella tra gli Stati e i cittadini europei.

Il tutto nasce dalla necessità di rimediare ad alcune circostanze che minacciano il futuro dell’Europa, vedi lo “shock sociale” derivato dalla grande recessione e non ancora riassorbito o l’aumento del numero degli elettori che, colpiti dalle dure politiche di austerità, si trovano oggi a mettere in discussione la natura stessa – quando non la legittimità – dell’Unione. Secondo l’esperienza storica, ha sottolineato Ferrara, la solidarietà sociale rappresenta la “colla” che tiene unito un sistema politico e deve dunque essere priorità dell’UE cercare di “rafforzare la colla” che tiene in piedi il sistema europeo.

Accanto alla solidarietà sociale, l’impegno politico deve concentrare i propri sforzi anche sulla conciliazione degli obiettivi economici, sociali e ambientali. Su questo punto è intervenuto Max Koch, professore all’Università di Lund, che ha raccontato nel dettaglio come il cambiamento climatico comporti una minaccia alla sostenibilità delle politiche sociali. Nella fattispecie, sia l’impatto diretto che quello indiretto del cambiamento climatico, ha sottolineato Koch, comporterà la necessità di ingenti investimenti pubblici e una riconfigurazione delle politiche tradizionali che si troveranno a contrastare una “concorrenza” di bilancio crescente dalle politiche ambientali prioritarie.

Si profilerebbe pertanto, secondo lo studioso, un contesto internazionale di doppia ingiustizia, in cui i gruppi che più risentono del cambiamento climatico sono quelli “meno responsabili” ed i gruppi più poveri quelli che meno di tutti possono sopportare il fardello finanziario delle politiche climatiche.

Punto focale della seconda parte della conferenza, la situazione sociale dei lavoratori autonomi in Europa, con relativa analisi delle ardue questioni riguardanti il mercato del lavoro e l’accesso alla protezione sociale per questa categoria di lavoratori. Slavina Spatova e Mathijn Wilkens, ricercatrice OSE e ricercatore EUROFOUND, hanno puntato l’accento sulle difficoltà emerse dall’esplosione di forme ibride di lavoro che comportano un importante sfida in termini di adeguamento degli impianti normativi e i sistemi di sicurezza sociale, a livello sia nazionale che europeo.

Secondo quanto emerso dalle ricerche dei due studiosi, la maggioranza dei lavoratori autonomi gode di buone condizioni di lavoro, tuttavia essi non sempre possiedono, pur essendolo nella forma, lo status di lavoratori indipendenti o autonomi, e sono pertanto privati del godimento dei diritti e delle tutele proprie di tale categoria. Per l’appunto, il 17% dei lavoratori autonomi in Europa sono di fatto subordinati a un datore di lavoro, trovandosi pertanto in condizioni lavorative incerte e precarie. Ciò comporta, in molti casi, la mancanza di protezione sociale e di rappresentazione sindacale, così come l’inapplicabilità delle normative sui lavoratori subordinati, anche perché i criteri legali di idoneità per l’accesso alla protezione sociale variano tra i diversi Paesi membri e spesso persino all’interno dei Paesi stessi.

Inoltre, hanno sottolineato i due ricercatori, è bene ricordare come, nel dibattito pubblico europeo, il lavoro autonomo sia stato sempre presentato come uno strumento, uno “stratagemma” in grado di rendere il mercato del lavoro più flessibile e stimolare l’occupazione lavorativa. E’solo a partire dal 2017-2018 che la questione della tutela dei lavoratori autonomi ha iniziato a profilarsi come una priorità politica da affrontare seriamente.

A livello europeo, alcuni passi sono stati recentemente compiuti in questa direzione. La Commissione europea ha, infatti, adottato una proposta di raccomandazione al Consiglio sull’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi, nell’ambito dell’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali, e in merito alla quale il Consiglio UE dello scorso 6 dicembre ha raggiunto un accordo. L’obiettivo della raccomandazione è far sì che tutti gli Stati europei garantiscano un’adeguata protezione sociale a tutti i lavoratori, inclusi appunto i lavoratori subordinati.

“Adottando la raccomandazione”, si legge nella dichiarazione della Commissione, “gli Stati membri dell’UE mostrano di condividere la comprensione delle principali sfide in materia di protezione sociale connesse al nuovo mondo del lavoro e, fatto ancora più importante, si impegnano a fornire una copertura adeguata ed efficace, agendo anche sulla trasferibilità e sulla trasparenza dei diritti dei lavoratori che cambiano occupazione. Si tratta di un elemento indispensabile per una migliore protezione dei cittadini in un mondo del lavoro soggetto a continui cambiamenti, oggi e in futuro”. L’accordo, pur se incompleto, avvcina senz’altro l’Unione di un passo verso l’implementazione del principio di una protezione sociale effettiva contenuto nel Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Non resta che monitorarne gli sviluppi, fino all’adozione ufficiale – prevista per il 2019.

Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali è da considerarsi una pietra miliare delle azioni dell’UE, il punto di partenza verso una maggiore presa di coscienza dell’impatto e dell’importanza cruciale di una tutela effettiva dei diritti sociali a livello comunitario, e può rappresentare l’inizio di un cambio radicale di rotta delle politiche dell’Unione Europea. Occorre pertanto una volontà forte da parte di tutti gli Stati membri di rendere effettivo tale cambiamento. ITACA condivide e incoraggia l’approccio intrapreso nella salvaguardia e nel rispetto dei diritti sociali di tutti i cittadini, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili e precarie, che meritano oggi più che mai maggiori tutele e garanzie.

Qui è possibile trovare maggiori informazioni in merito alle pubblicazioni “Bilan sociale de l’Union européenne 2018” e “Social policy in the European Union: state of play 2018” di OSE e ETUI.