A casa, nel mondo

Pubblichiamo l’intervento di Claudio Piccinini (Area Migrazioni e Mobilità Internazionali INCA CGIL) nel panel su “Pensioni e protezione sociale, accordi bilaterali” in occasione della Conferenza Internazionale dei Sindacati dei Pensionati del Bacino del Mediterraneo tenutasi a Monastir, Tunisia, dal 18 al 20 giugno 2019 e promossa dallo Spi Cgil, dall’Ugtt tunisino, dall’Ucr Cgt francese, dal CCOO pensionistas spagnolo. Alla tre giorni hanno partecipato i sindacati di Crozia, Grecia, Albania, Slovenia, Cipro, Portogallo, Malta, Marocco e Palestina per discutere di diritti e rivendicazioni di pensionati e lavoratori, accordi bilaterali tra Paesi, cooperazione, migrazioni.

Per parlare di Convenzioni Bilaterali in tema di Sicurezza Sociale, di tutele e diritti che queste garantiscono -e dovrebbero garantire- ai lavoratori, non si può che cominciare da questi ultimi. I lavoratori.

Se Abdellaziz che ha lavorato 8 anni in Tunisia e 12 anni in Italia può andare in pensione, è grazie alla Convenzione Bilaterale tra Italia e Tunisia firmata nel 1987. Senza la Convenzione non avrebbe diritto alla pensione né in Italia né in Tunisia.

Se Moustapha che lavora in una azienda del nord Italia può ricevere gli assegni familiari per sua moglie e i suoi figli che abitano ancora a Madhia è grazie alla Convenzione Bilaterale tra Italia e Tunisia sulla Sicurezza Sociale.

Così altrettanto Adil che fa il bracciante agricolo a Ragusa e ogni anno chiede la disoccupazione per i periodi di non lavoro e su quella vengono pagati gli assegni familiari.

Se Giovanni, che da pensionato si è trasferito in Tunisia, può usufruire della assistenza sanitaria, è grazie agli Accordi Bilaterali tra i due paesi.

Quella delle Convenzioni Bilaterali in tema di Sicurezza Sociale è una storia che per gli italiani inizia nel secolo scorso quando erano loro a migrare in Belgio, in Germania, in Francia, in Argentina, negli Stati Uniti, in Canada…

Grazie alle convenzioni bilaterali centinaia di migliaia di lavoratori italiani hanno potuto raggiungere il diritto a pensione cumulando i periodi di lavoro fatti all’estero in paesi dove c’è la Convenzione Bilaterale. E’ una storia che appartiene a qualsiasi migrante. E chi non può appoggiarsi sui diritti previsti dalle Convenzioni Bilaterali rischia di non raggiungere mai, nella propria vita lavorativa, il diritto a pensione o di vederselo riconoscere in misura fortemente ridotta.

Queste, le Convenzioni Bilaterali, si basano su un diritto fondamentale della persona che e’ la sicurezza sociale. Aggiungerei che e’ un tema di “giustizia sociale” nel momento in cui riconosce a chiunque abbia lavorato il giusto raggiungimento dei diritti che gli spettano grazie al suo lavoro, ai contributi versati, e al contribuito al benessere del paese che lo ha ospitato.

Le Convenzioni bilaterali tra i paesi in tema di sicurezza sociale si basano su un principio che è la parità di trattamento tra stranieri e cittadini nell’accesso alle prestazioni, in particolar modo previdenziali. Lo prevedono le convenzioni OIL o OIT, la convenzione ONU sul trattamento delle fragilità, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, gli stessi Regolamenti e Direttive della Comunità Europea.

Erano fondamentali nel secolo scorso, lo sono oggi ancora di più in un mondo con distanze sempre più corte dove la mobilità del lavoro è sempre più storia di ogni famiglia. Sia africana che europea, sia tunisina che italiana. In ogni famiglia abbiamo storie di migrazione, di giovani che si spostano per lavoro in altri paesi in Europa e in altri paesi extraeuropei e che hanno bisogno di tutele e garanzia rispetto al loro presente e al loro futuro anche quando raggiungeranno il diritto al riposo dopo una vita di lavoro.

Dal 2015 in Italia sono più gli italiani che risiedono all’estero che gli stranieri in Italia. La nostra rete di uffici in Italia e all’estero, in Europa, in America, in Sud America, lo sa benissimo e presta assistenza a tanti giovani che iniziano a lavorare in un paese diverso da quello dove sono nati, con gli stessi problemi di chi è arrivato in Italia, la lingua, la casa, il lavoro regolare, a volte il permesso di soggiorno. E non sempre, badate, per lavori qualificati, molto spesso si tratta di ricerca di opportunità di crescita professionale e lavoro regolare che in Italia non gli è garantito.

E a questi aggiungiamo anche i pensionati italiani che spesso per far quadrare i conti con pensioni basse e l’alto costo della vita in Italia, sono costretti ad emigrare in Tunisia, in Portogallo, in Albania, in Romania per cercare di trascorrere più serenamente il resto della loro vita. Perché, come dice il Segretario della CGIL Maurizio Landini, oggi in Italia viviamo un periodo dove lo stipendio non basta più per vivere, per sfuggire dal rischio povertà, e questo e’ ancora più vero per i pensionati.

Ma le convenzioni bilaterali riguardano anche, e direi soprattutto, altri stati europei che hanno nella loro storia un rapporto particolare con i paesi del sud del mediterraneo. Ne è esempio la Francia che vanta convenzioni bilaterali con la Tunisia dal 2007, con l’Algeria dal 1980, con il Marocco dal 2011 e con il Senegal dal 1974. La Spagna con il Marocco, la Tunisia e Capo Verde.

L’Italia continua a vivere la sua particolare resistenza alla stipula di accordi bilaterali visto che l’ultimo firmato in ordine di tempo con i paesi del sud del Mediterraneo, con l’Africa, è quello con la Tunisia e risale al 1987, un’altra era geologica, firmato allora dal Governo Craxi con ben Alì e mai aggiornato.

Mancano all’appello paesi importanti come il Marocco, con i suoi 500mila marocchini in Italia, il Senegal, le Filippine… Paesi con una emigrazione in Italia di lunga data che vedono sempre più persone vicine all’età della pensione e bisognose di protezione.

Alla Convenzione bilaterale tra Italia e Marocco manca solo la ratifica del Parlamento Italiano – che è in sospeso dal 1984. Trentacinque anni non sono stati sufficienti per mettere in atto il passaggio finale su un testo già approvato dai governi dei due paesi e già ratificato dallo stesso Parlamento del Marocco.

Per il Senegal non c’è nemmeno una bozza di lavoro.

Ma possiamo aggiungere agli assenti anche l’Albania e l’Ucraina, paesi che vantano una forte presenza di migranti in Italia ma che cominciano anche a vedere, soprattutto in Albania, una notevole presenza di lavoratori italiani e imprese italiane sul loro territorio.

Il processo di stipula e ratifica delle Convenzioni Bilaterali in tema di Sicurezza Sociale in Italia, con qualche eccezione, si è fermato alla fine degli anni ’90.

Perché?

Innanzitutto la classe politica che ha lavorato in passato sugli accordi bilaterali non c’è più e in pochi ne hanno raccolto l’eredità. Non ci sono più i funzionari dello Stato che hanno lavorato a quegli accordi, manca la volontà politica di affrontare temi che hanno a che fare con la migrazione e con i diritti dei migranti nonostante questa sia la storia passata e attuale dei lavoratori italiani.

Si dice ad esempio che non c’è reciprocità. Si dice che in Marocco ci sono meno italiani che marocchini in Italia. E che quindi il rapporto è sbilanciato. Eppure, ai tempi delle convenzioni bilaterali con gli Stati Uniti e il Canada, non c’erano certo folle di Canadesi o di Statunitensi in Italia ma tanti tanti italiani in quei paesi. Eppure il Canada e gli Stati Uniti non si sono posti quel problema, l’Italia non lo pose durante la firma. La stessa cosa ai tempi della firma del trattato con la Tunisia nel 1987, non c’erano allora tanti italiani tanti quanti i tunisini in Italia.

Si dice che costa troppo. Eppure il sistema delle Convenzioni prevede che sia ognuno dei due Stati a pagare, separatamente, le pensioni per ciò che deve in funzione dei contributi versati in quel paese. Con le regole pensionistiche di quel paese. 60 anni in Tunisia, 67 anni per la vecchiaia in Italia. L’italia paga il suo, la Tunisia il proprio. Basta chiederlo agli italiani che sono andati in pensione con contributi versati in Germania, o in Francia, ad esempio. Qual è il costo che ne deriva se non quello di riconoscere un diritto a chi ha versato i contributi?

Anzi, la Convenzione Bilaterale è stimolo per il lavoro regolare. Chi si trova a lavorare all’estero sapendo di non aver diritto a pensione per i contributi versati nel paese dove sta lavorando, è scoraggiato a versarli, a volte ricattato. O preferisce a volte tradurre quei contributi in stipendio, quando non sono le stesse aziende che propongono il lavoro in nero senza contributi – “risparmiando”, così, sul salario dovuto e sui tributi allo Stato.

Si dimentica anche che oltre 600mila pensioni in Italia sono pagate dai contributi versati dagli stranieri che oggi vi lavorano e versano contributi regolarmente.

Dimentichiamo poi che le statistiche demografiche ci dicono che l’Europa invecchia rapidamente, che per pagare le pensioni di oggi, per garantire il welfare attuale, per tenerlo appena bilanciato, solo in Italia, avremmo bisogno di 160mila nuovi ingressi di migranti all’anno.

Invece, dal 2011 sono bloccati i flussi di ingresso per lavoro subordinato. Si preferisce avere persone ricattabili e sfruttabili piuttosto che lavoratori migranti, sì, ma con diritti e dignità.

In Europa servirebbero 40 milioni di nuovi cittadini entro il 2050 per mantenere in essere l’attuale sistema di welfare, altrimenti il rapporto tra attivi e pensionati scenderebbe sotto la soglia di sostenibilità.

Le Convenzioni bilaterali con i paesi extra UE sono un elemento importante che deve andare di pari passo con una politica migratoria intelligente e soprattutto lungimirante. Il rischio vero è quello di tagliare il ramo dove siamo seduti.

Occorre poi fare un appunto sulla manutenzione degli accordi: una volta firmato l’accordo di convenzione bilaterale, i diritti non diventano “magicamente” esigibili. Occorre che ci sia impegno a farlo funzionare, che tutti gli attori, gli Enti previdenziali, i sistemi di sicurezza sociale, operino perché vi siano le condizioni per garantire i diritti. Che questi diritti non rimangano sulla carta ma che diventino invece diritti realmente esigibili dai lavoratori.

E allora serve un impegno particolare di tutti gli Enti, gli Istituti e le Organizzazioni coinvolte, nel garantire i diritti dei lavoratori che ancora lavorano, penso ad esempio ai lavoratori dell’agricoltura nel sud italia, e di coloro che li hanno acquisiti in anni di contributi versati. In Tunisia, molto si sta facendo anche grazie al contributo di UGTT, di INCA e CGIL impegnati in un dialogo con i Ministeri e gli Enti coinvolti. Tuttavia, per migliorare lo svolgimento delle procedure, occorrono una sempre maggiore collaborazione e- soprattutto, un dialogo constante. Nell’era telematica la fluidità delle comunicazioni tra gli Enti dei due paesi, prevista dalla stessa Convenzione Bilaterale, deve essere una pratica corrente al passo coi tempi.

Termino con un auspicio: e cioè che, oltre a doverci impegnare affinché siano firmati gli altri accordi bilaterali e che questi si trasformino in diritti reali, occorre pensare se un domani non si possa far leva sull’ipotesi di una “Macro Regione Mediterranea” che sia fonte di crescita e progresso per l’economia e il libero scambio, ma che sia anche un luogo di garanzia dei diritti sociali e, in questo contesto, dei diritti connessi alle Convenzioni Bilaterali tra i paesi in tema di Sicurezza Sociale. Augurandosi che un domani sia lo stesso sistema comunitario a stabilire regole di tutela del lavoro migrante che oggi sono assolte dai singoli stati con le Convenzioni Bilaterali in materia di Sicurezza Sociale.

Senza dimenticare che anche gli stessi paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo dovranno a breve prendere in considerazione la stipula di accordi e convenzioni bilaterali con i paesi dell’area subsahariana in rapporto alle migrazioni e al lavoro che viene svolto dai lavoratori che da lì provengono.

In sostanza, non si può parlare di migrazioni parlando solo di procedure di ingresso, di quote, di flussi ma, come ci insegna la nostra storia, il nostro vissuto comune di migranti, di vecchi e nuovi migranti, occorre che ci sia la giusta attenzione alla sicurezza sociale dei lavoratori e dei pensionati, che riconosca loro i diritti sia in costanza di lavoro che al momento di andare in pensione, indipendentemente dal posto dove hanno lavorato e dove vivono.

E’ importante che le agende dei nostri Governi tengano conto, negli incontri bilaterali, della necessità di porre anche questo tema nella discussione comune. Penso sia un impegno comune del quale ci siamo fatti carico e che dovrà essere ulteriormente supportato dalle nostre organizzazioni.