Quando l’ufficio dell’INCA Spagna iniziò la sua attività nel mese di luglio del 2005, erano passati poco meno di due mesi dalla regolarizzazione straordinaria di cittadini e lavoratori stranieri “illegali” promossa dal governo Zapatero, grazie alla quale 700.000 persone avevano smesso di colpo di essere “invisibili”.
Moltissimi di loro erano cittadini di Paesi sudamericani, discendenti di italiani emigrati che finalmente potevano inoltrare domanda di cittadinanza italiana; i consolati di Madrid e Barcellona furono sommersi da una marea di richieste.
Il nostro ufficio, che faticosamente cercava di farsi conoscere fra i lavoratori e pensionati italiani residenti in Spagna, trovò così da subito una grande mole di lavoro da svolgere con quei “nuovi cittadini” che venivano dall’Argentina, l’Uruguay, il Brasile, il Venezuela e contavano già sull’INCA perché nei loro Paesi di origine era attiva da decenni.
Si rivolgevano a noi per chiedere il nostro aiuto per legalizzazioni, traduzioni, semplici consigli su come presentare le loro domande e, una volta convertiti in cittadini di pieno diritto, per ottenere documenti ed inoltrare domande che a noi sembrano semplici: un atto di nascita, di matrimonio, registrare un figlio appena nato. Per questi nuovi cittadini sono a volte montagne inaccessibili, perché non conoscono la lingua o semplicemente non sanno dove rivolgersi non conoscendo la nostra organizzazione amministrativa: i Comuni, le Regioni, lo Stato.
Arrivarono e continuano ad essere più del 40% della comunità italiana residente in Spagna e più del 35% degli stranieri che vivono in Spagna (quasi 5 milioni, il 12% della popolazione) provengono da quei Paesi.
Inevitabilmente, si creò da subito una stretta collaborazione con le loro associazioni creando una rete di solidarietà per risolvere piccoli e grandi problemi, ma anche per invitarsi reciprocamente ad eventi culturali, conferenze, presentazioni.
Altre comunità straniere sono “arrivate” soprattutto dall’est europeo (i rumeni sono già il 10% degli immigrati) quando anche loro divennero cittadini dell’Unione Europea una notte di capodanno del 2007 e persero così anche loro l’invisibilità. Molti hanno lavorato in Italia o hanno familiari che ci vivono. Sono proprio loro la nostra prossima sfida, soprattutto ora che possiamo contare sull’INCA di Bucarest.
Continuano ad arrivare molti giovani dall’Italia, non solo per cercare un lavoro, ma anche un altro modo di vita, per le coppie di fatto, le coppie omosessuali, le famiglie monoparentali, le fecondazioni in vitro – diritti che in Italia arrivano lentamente, ma che qui esistono da anni. Arrivano nel momento peggiore, dovuto alla situazione economica, la precarietà, i bassi salari e le maggiori difficoltà poste alla libera circolazione nell’Unione Europea che purtroppo anche qui si fanno strada.
Ugualmente, vogliono vivere qui: dobbiamo aiutarli ad ottenere la residenza permanente non perché altrimenti rischierebbero la deportazione, ma piuttosto di cadere nel lavoro nero, senza diritti, senza servizi assistenziali. Tutelare i diritti individuali è il nostro lavoro.
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