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Il 19 marzo a Bruxelles un incontro sulla sicurezza sociale per i lavoratori migranti con l’European Trade Union Institute (ETUI) e l’European Trade Union Confederation (ETUC).

Martedì 19 marzo, presso la sede dell’ETUI (European Trade Union Institute) a Bruxelles, si è tenuta una conferenza sul tema: “EU social protection reform: reducing the vulnerability of workers?”.

Nel corso della conferenza sono stati analizzati alcuni profili critici inerenti i diritti sociali dei lavoratori migranti, i benefici di cui possono usufruire e in particolare il tema della vulnerabilità di determinate categorie di lavoratori.

Dei primi due punti si è occupato Nicolas Rennuy, professore della York Law School, partendo dall’assunto di base della necessità di ribadirne la piena legittimità e sviluppando quindi il suo discorso principalmente intorno ai waiting periods e i benefits . Per waiting period si intende il periodo di attesa necessario affinché un individuo trasferitosi da un Paese europeo a un altro possa godere dei relativi diritti sociali in qualità di lavoratore. Per chiarire questi concetti Rennuy ha ipotizzato una timeline di una persona che, ad esempio, dalla Romania si trasferisce in Germania, individuando tre possibili scenari:

  1. il lavoratore ha accesso ai benefits fino all’ultimo giorno di lavoro in Romania e sin dal primo giorno in cui lavora in Germania. In questo caso non esiste alcun periodo di transizione e si può definire tale scenario come no waiting period;
  2. nel caso di lavoratore distaccato (posting worker), questi usufruirà dei benefits romeni fino a due anni dall’inizio del distacco, quindi continuando a far riferimento al sistema di sicurezza sociale romeno. In seguito, quando avrà accesso ai benefits tedeschi perderà quelli del suo Paese d’origine: questo scenario si definisce symmetrical waiting period;
  3. una donna lascia la Romania in cerca di un’occupazione e si trasferisce in Germania, dove ha un figlio. Avendo lasciato il Paese di provenienza, perderà i benefits romeni e al contempo non potrà usufruire di quelli tedeschi finché non troverà un lavoro. In questo caso, il waiting period avrà una durata variabile e imprevedibile perché dipenderà da quanto tempo la donna impiegherà a trovare un lavoro. Tale scenario è detto asymmetrical waiting period.

Attualmente, ha continuato Rennuy, l’insieme delle normative in materia di sicurezza sociale in Europa prevedono diversi esempi di waiting periods. In merito al tema, si discutono varie ipotesi di riforma: la Commissione europea ha proposto di portarne la durata a tre mesi, il Consiglio a un mese e il Parlamento europeo a un giorno. Tuttavia, secondo Nicolas Rennuy occorre avanzare una considerazione, a suo parere sottovalutata dai più: si potrebbero implementare anche altre misure, prima fra tutte quella di “dividere” la protezione sociale del lavoratore mobile tra più di uno Stato membro, facendo in modo che questa non “gravi” su uno solo e che copra in maniera più efficace ed effettiva il lavoratore mobile.

Un concetto chiave introdotto dal professor Rennuy è stato quello del nesso tra integrazione e protezione: più si è integrati in uno Stato, maggiore è la protezione sociale che ci si può aspettare dallo Stato stesso e viceversa. Su questa linea di pensiero, Rennuy ha sottolineato che la mobilità di un lavoratore porta inevitabilmente con sé la questione dell’eventuale rottura dell’armonizzazione tra diversi ordinamenti giuridici in materia di sicurezza sociale, che spesso porta a situazioni in cui i diritti sociali dei lavoratori non sono efficacemente tutelati. Per approfondire la questione, lo studioso ha portato l’esempio del caso Larcher: un cittadino austriaco che, dopo aver lavorato per 29 anni in Germania, al suo ritorno in patria, ha richiesto il prepensionamento progressivo (ossia una riduzione graduale delle ore lavorative), vedendosi rifiutare la richiesta con la motivazione che il richiedente non rispettasse i requisiti previsti dalla legge tedesca. Qui le difficoltà derivavano dal fatto che sia il diritto tedesco che quello austriaco fossero applicabili. A questa antinomia la Corte di giustizia europea ha risposto affermando che è necessario un esame comparativo da effettuarsi caso per caso.

Il professor Rennuy ha poi continuato sull’armonizzazione delle politiche sociali: poiché ogni Stato membro dell’Unione europea ha una propria legislazione e ciò può ostacolare la realizzazione di alcuni obiettivi, è necessario trovare un modo per eliminare o ridurre tali disparità. In merito a ciò, Rennuy ha applicato il tema dell’armonizzazione ai tre scenari precedenti riferiti ai casi di waiting periods, prospettando un trilemma che, a suo parere, presenta un punto debole. Ognuno dei tre scenari, infatti, ha evidenziato il professore, non soddisfa a priori una delle esigenze fondamentali: il primo esclude il nesso integrazione-protezione, il secondo l’armonizzazione, il terzo la protezione sociale continuativa. Per cui, in conclusione, la scelta dipende dal caso specifico e dal valore che si vuole privilegiare, sebbene Nicolas Rennuy abbia sottolineato la preminenza di una protezione sociale continua.

Il secondo intervento è stato di Charlotte O’ Brien, professoressa presso la York Law School, la quale si è focalizzata sul tema della vulnerabilità del lavoratore, con una particolare attenzione al caso Zambrano del 2009.
Tra i soggetti più vulnerabili ha individuato varie categorie tra cui i disabili, i consumatori, i cittadini di Paesi terzi e il loro familiari e gruppi tutelati dalla legislazione ambientale.

Charlotte O’ Brien si è concentrata sul profilo socio-economico come forza motrice nella costruzione dell’assistenza sociale, in quanto i relativi benefici e prestazioni derivano dal ristretto accesso al mercato del lavoro per le categorie vulnerabili. Infatti, ha sottolineato O’Brien, la scarsa accessibilità al mercato del lavoro, pur affliggendo trasversalmente qualunque persona e qualunque categoria, danneggia in modo particolarmente penalizzante i soggetti vulnerabili. La studiosa ha poi proseguito aggiungendo quello che, in un’Europa della mobilità e senza frontiere, diventa oggi un paradosso: secondo la casistica, la vulnerabilità in termini socio-economici di cittadini cosiddetti vulnerabili è emersa in maniera lampante soprattutto in controversie inerenti questioni di cittadinanza europea: negli anni, una sempre più stringente applicazione della direttiva 2004/38 sulla libera circolazione delle persone ha finito con l’aggravare le condizioni di molti lavoratori e lavoratrici già appartenenti alle categorie più vulnerabili.

In materia di cittadinanza europea, ha ricordato la professoressa O’Brien, rivoluzionario era stato il caso Zambrano del 2009. Zambrano, colombiano che aveva lasciato il suo Paese per andare a vivere in Belgio insieme alla moglie, nonostante il mancato riconoscimento del diritto di asilo in Belgio (pur sussistendo la guerra civile in Colombia) e del permesso di soggiorno (pur essendo residente e con lavoro regolare), si è visto riconoscere dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il diritto di soggiorno in Belgio e l’esenzione dal possesso del permesso per lavoro, avendo a carico figli di tenera età nati in Belgio. Il caso aveva dunque costituito una pietra miliare in materia di cittadinanza dell’UE: i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione europea sono stati sganciati dal concreto esercizio alla libera circolazione finendo per fungere da pilastro portante per la protezione dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza e dalla CEDU.

Come Charlotte O’ Brien ha evidenziato, tale diritto successivamente è stato protagonista di restrizioni: altre sentenze posteriori non hanno garantito lo stesso livello di tutele raggiunto con il caso Zambrano – il che porta di nuovo a concludere, secondo O’Brien, che sul tema della libera circolazione delle persone e dei lavoratori – e, quindi, sui diritti connessi, permanga ad oggi una mancanza di chiarezza: normativa e, di conseguenza, di fatto. Come ha osservato O’ Brien, in alcuni Paesi non importa quanto si lavori o quanto si sia integrati, e anzi spesso resta evidente la mancanza di una coerenza logica negli esiti prospettati dai vari giudici, caso per caso.

In conclusione, il corpus del diritto europeo è stato creato per tutelare i cittadini e garantire loro una serie di diritti e libertà fondamentali, prima fra tutte la libertà di movimento. Un principio chiave è che nessuno dovrebbe essere penalizzato dall’esercizio dei diritti derivanti dal diritto dell’UE. Sfortunatamente, la protezione offerta dalla legislazione sia europea che nazionale rimane, ad oggi, non sempre all’altezza di questo obiettivo. In questo senso, la garanzia di una efficace protezione sociale per tutti gioca un ruolo fondamentale: una società civilizzata si misura in base a come vengono trattati i cittadini – e in particolar modo quelli più vulnerabili. Se i presenti si sono trovati d’accordo su questo principio, tuttavia hanno concordato sul fatto che allo stato attuale la mancata armonizzazione delle politiche sociali a livello europeo fa sì che mentre determinati gruppi di lavoratori e cittadini abbiano la possibilità di vedere i propri diritti tutelati, altri corrono il rischio di cadere nelle maglie di un diritto e di un sistema ancora troppo spesso lacunoso.