A casa, nel mondo

Circa la metà dei giovani disoccupati tra i 20 e i 34 anni residenti in un Paese dell’Unione Europea è disposta a cambiare luogo di residenza per ottenere un posto di lavoro

È quanto emerge dai dati Eurostat, diffusi mercoledì 27 marzo dalla Commissione Europea, secondo cui il 21% dei giovani disoccupati europei si dichiara pronto per trasferirsi per lavoro all’interno dello stesso Paese, mentre il 12% è disposto a spostarsi in un altro Stato membro dell’Unione. Infine, il 17% sarebbe pronto a trasferirsi per lavoro al di fuori dell’UE.

Secondo Eurostat, a giocare un ruolo chiave nella decisione è il livello di educazione: giovani disoccupati con un alto livello d’istruzione risultano più disponibili a spostarsi per la ricerca di un lavoro (il 23% si dice pronto per trasferirsi nello stesso paese ed il 16% per spostare la propria residenza in un altro Stato, pur rimanendo entro i confini dell’UE); le percentuali si abbassano per i giovani con un livello d’istruzione inferiore (21% e 10% rispettivamente).

Volendo dare uno sguardo alla situazione dei giovani occupati, emerge che solo una percentuale inferiore al 10% dei giovani tra i 20 e i 34 anni si è trasferita a causa del suo attuale lavoro: l’1% in un altro Stato membro dell’Unione e l’8% all’interno del proprio Paese di residenza.

Se la mobilità all’interno dello stesso Paese risulta aumentare tra i giovani occupati con una maggiore preparazione (il 13% si è trasferito), Eurostat sottolinea che le differenze nel livello di educazione risultano essere decisamente meno significative nella decisione di trasferirsi in un altro Paese UE per i giovani in possesso di un’occupazione: fra di essi infatti il 2% è costituito da giovani con un elevato livello di istruzione, un altro 2% da giovani con un livello di istruzione inferiore e l’1% da giovani con un livello di istruzione intermedio.

Spostandosi sul piano geografico, i dati Eurostat mostrano che la percentuale più alta di giovani disoccupati nell’UE che si dicono pronti a cambiare residenza all’interno dello stesso Paese sono in Romania e Germania (37%), Repubblica Ceca e Irlanda (35%). I più disponibili a trasferirsi in un altro Stato europeo sono i giovani residenti in Estonia e Croazia (26%) e Slovenia (25%). I giovani disoccupati disposti a trasferirsi in un Paese extra-UE sono quelli residenti in Svezia (34%) Spagna e Finlandia (28%) e Francia (27%).
In quindici Stati membri dell’UE, oltre il 90% dei giovani occupati tra 20 e 34 anni risulta non essersi trasferito – la percentuale più alta è registrata in Italia (98%), la più bassa in Irlanda (60%).

Per quanto riguarda l’Italia, secondo Eurostat il 60% dei giovani italiani disoccupati non lascerebbe il proprio Paese per trovare un lavoro. D’altra parte, il 20% si muoverebbe all’interno dello Stivale, il 7% potrebbe scegliere un altro Stato membro e il 13% emigrerebbe in un Paese extraUE: delle cifre percentuali che, sommate, arrivano al 40% – ovvero, se si vogliono leggere i dati dalla prospettiva opposta, quasi la metà dei giovani italiani è disposta a trasferirsi per trovare un’occupazione.

Se questi sono i dati che emergono dalle statistiche, è interessante andare oltre una mera riproduzione acritica del dato Eurostat e soffermarsi piuttosto su ciò che questi dati implicano, in che modo vengono veicolati e le conclusioni che se ne possono trarre.

Sembra pertanto opportuna una piccola premessa. L’indagine statistica è uno strumento mediante il quale si acquisiscono informazioni su uno o più fenomeni attinenti ad una popolazione. Scopo dell’indagine è quello di produrre, appunto, statistiche, ovvero descrizioni riassuntive di carattere quantitativo, riguardanti il gruppo di interesse. I dati statistici, se aprioristicamente trattati, possono supportare tanto una determinata teoria quanto un’altra ad essa opposta, fornendo “semplicemente” i numeri sui quali costruire un’argomentazione piuttosto che un’altra.

Ciò che risulta interessante in questo caso è come, tanto nel rapporto Eurostat in questione quanto in numerosi articoli di media italiani ed europei che hanno riportato la notizia, il focus, il centro dell’attenzione sembri essere occupato da quella metà dei giovani europei disoccupati che non emigrano. Il tutto, accompagnato da una tendenza – più o meno marcata, soprattutto nei media italiani – ad interpretare questo dato con un’accezione generalmente negativa, quasi un’implicazione “morale”: “il 60% dei giovani disoccupati non è disposto a trasferirsi per lavorare”, titolano alcuni.

Ecco come il dato statistico rischia di essere utilizzato per avvalorare visioni distorte o parziali che, all’analisi delle cause e delle dinamiche economiche e socio-culturali che conducono il 32,7% dei giovani italiani ad essere disoccupati e circa il 40% di questi a decidere di trasferirsi per cercare lavoro altrove, contrappongono una teoria colpevolistica dello “yes man” mancato, del giovane scansafatiche o non abbastanza competente o istruito per essere disposto, appunto, “a trasferirsi per lavorare”.

Il 40% di giovani disoccupati che devono (o vogliono) spostarsi per trovare un lavoro, resta comunque una cifra decisamente alta, qualsiasi metà del bicchiere si scelga di guardare.

Conviene ribadire che il dato Eurostat si inserisce in un quadro, ricostruito da fonti altrettanto autorevoli, che ci fornisce una fotografia del fenomeno migratorio odierno – giovanile e non solo – leggermente diversa e più complessa.

Negli ultimi anni, la crisi economica e finanziaria che si è abbattuta sull’Europa ha innegabilmente provocato un aumento di mobilità dei giovani dal Sud al Nord del Paese e verso l’estero. Basterà ricordare a tal proposito l’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sugli “Italiani nel Mondo 2017”. Dal rapporto emergeva che secondo i dati ISTAT, ad emigrare sono in particolare i giovani (circa il 41,3% nella fascia di età compresa tra 25 e 39 anni), mentre più in generale si rilevava che in corrispondenza delle classi di età attiva (da 22 a 54 anni) si concentra il 77% degli italiani espatriati. I dati registrati per il decennio 2006-2015, sottolineava il rapporto, indicano una propensione, in aumento soprattutto a partire dal 2010, ad una crescita continua delle partenze, a fronte di un andamento pressoché costante dei rientri in Italia.

Da anni ogni ricerca e studio, ogni analisi e ogni indicatore, mostrano come il flusso di italiani – giovani e meno giovani – verso paesi stranieri sia non solo ricominciato, ma abbia ormai le proporzioni di una vera e propria ondata migratoria. Ce ne parlano, oltre all’aumento esponenziale degli iscritti all’AIRE, o l’ultimo rapporto Migrantes, tutte le analisi fatte sui dati “locali”, come ad esempio di iscrizioni ai comuni o alle assicurazioni sanitarie nei nuovi Paesi di residenza.

Un aspetto fondamentale e da non sottovalutare che emergeva dal rapporto Migrantes e che riteniamo un valido elemento per guidare la riflessione anche in questa sede, sta, da un lato, nell’importanza di tenere sempre a mente che il dato statistico non sempre permette di prendere in considerazione tutti gli elementi in campo per poter giungere ad un’analisi effettivamente complessiva del fenomeno che si intende studiare. Nel caso dei giovani italiani emigrati all’estero, si sottolineava la necessità, ad esempio, di aggiungere ai giovani rappresentabili nelle statistiche tutti coloro che, spostandosi per periodi brevi o con percorsi di mobilità non stabili o prevedibili, decidono di non registrarsi come residenti all’estero – fenomeno la cui portata, dunque, risulta più difficilmente monitorabile e quantificabile.

Come abbiamo già ribadito, non dovremmo aver più bisogno, per fortuna, di sottolineare e chiarire ulteriormente che non si tratta di “fuga di cervelli” –cioè di “trasferimenti” di una minima parte della popolazione magari con alti titoli di studio: la cosiddetta “nuova emigrazione” è fatta da centinaia di migliaia di cittadini italiani che – ormai ogni anno – se ne vanno all’estero alla ricerca di migliori condizioni di lavoro, di studio, di vita.

 

“Dopo anni di attenzione unicamente riservata ai ‘quanti’”, si leggeva nel rapporto Migrantes, “è ora di maturare la consapevolezza che, soprattutto nel caso dei movimenti più recenti, diventa imprescindibile l’analisi del ‘chi’ e del ‘perché’“. Una considerazione che ci sembra di cruciale importanza a maggior ragione in questa sede, come elemento chiave che ci permetta di evitare di correre il rischio di indulgere a conclusioni superficiali, che alla ricerca di soluzioni politiche verso un’emancipazione collettiva, prediligono soluzioni “facili” orientate alla colpevolizzazione individuale.

Il rapporto Eurostat completo a questo link.