A casa, nel mondo

Ad affermarlo stavolta un comunicato della Fondazione ISMU sulla base dei dati Eurostat: gli italiani sono tra i cittadini che si muovono di più verso altri Paesi dell’Unione. Germania la prima destinazione, numeri in aumento anche in Portogallo.

Negli ultimi due anni, i cittadini italiani che hanno deciso di vivere in un altro Paese europeo sono aumentati del 14,3% circa, passando da 1 milione e 435 mila a 1 milione e 640 mila residenti in Ue. Lo ha confermato recentemente la Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) sulla base di una elaborazione dei dati Eurostat. Ad accogliere più di un terzo di tutti gli italiani in Europa è la Germania, che ospita il 35,2 % della popolazione italiana residente in un altro Paese UE/EFTA (dati gennaio 2018). A seguire il Regno Unito, con oltre 300 mila italiani, ha registrato un incremento significativo nell’ultimo anno (+26%). Quindi la Spagna, con 221 mila, e la Francia, con oltre 200 mila italiani. È in Portogallo, comunque, che si rileva il più alto incremento nella presenza dei cittadini italiani, più che raddoppiati in due anni, passando da poco più di 6 mila nel 2016 a circa 13 mila nel 2018. Considerando l’insieme dei Paesi EFTA, anche la Svizzera continua ad essere una delle mete “storiche” dell’emigrazione italiana, con oltre 300 mila italiani residenti. L’Italia, insomma, è tornata a tutti gli effetti ad essere un Paese di emigrazione: gli italiani sono il terzo gruppo di cittadini europei che vivono in un altro Stato membro, dopo i cittadini provenienti da Romania e i Polonia.

Come abbiamo già avuto modo di constatare a più riprese, sembra proprio che l’Italia stia riscoprendo la sua “vocazione” di essere “strutturalmente un Paese di mobilità e di emigrazione”.

È ormai evidente che la “risposta migratoria” sia una costante per gli italiani nei periodi storici in cui l’Italia soffre di crisi maggiori: oggi, di fronte alla precarietà sempre maggiore delle proprie condizioni di vita e lavorative, complici gli anni di crisi, la decisione di emigrare per cercare nuove prospettive sembra per molti – più che una scelta – una necessità.

Che la retorica dei “cervelli in fuga” non basti – e, anzi, sia decisamente fuorviante nel descrivere e nel capire il fenomeno migratorio di oggi, specie quello legato alla cosiddetta “Nuova Emigrazione”, non è certo una novità. Già l’ISTAT nel 2017 riportava che ad emigrare fossero soprattutto i giovani nella fascia di età compresa tra 25 e 39 anni e in generale la maggior parte degli italiani espatriati corrisponde alle classi di età attiva (22-54 anni). I dati Eurostat del 2018 confermano che il 20% dei giovani italiani oggi sono disposti a trasferirsi all’estero per lavoro.

Insomma, oggi dall’Italia si emigra per cercare lavoro: spesso, qualsiasi lavoro. Molte delle persone e dei giovani che emigrano sono alla ricerca di occasioni e prospettive di vita più dignitose di quelle che potrebbero avere nel proprio Paese – e non ci sembra di esagerare nel definire questo fenomeno per quello che è: un “fenomeno migratorio di massa”. Con oltre 5 milioni di cittadini italiani che vivono fuori dei confini nazionali, l’emigrazione italiana sempre più spesso riguarda intere famiglie, come ricorda anche l’ultimo rapporto dedicato agli italiani nel mondo della Fondazione Migrantes.

Che gran parte dei giovani italiani siano sempre più spinti a trasferirsi all’estero per motivi professionali è stato recentemente rimarcato proprio da Delfina Licata, responsabile del Rapporto Italiani nel Mondo e tra gli esperti che conoscono più in profondità il fenomeno migratorio italiano. In un commento sul Seminario di Palermo proposto dal CGIE nell’aprile 2019 per la creazione di una rete di giovani italiani nel mondo, la ricercatrice ha sottolineato come le ragioni che portano un giovane italiano a spostarsi all’estero per cercare un’occupazione siano direttamente ricollegate, in fondo, alla ricerca di un benessere individuale. Si emigra, insomma, per vivere meglio.

Uno dei punti cruciali non è tanto la partenza in sé, quanto piuttosto il problema che in Italia la mobilità è “unidirezionale”: si è spinti a partire per necessità e non si ha più la scelta di ritornare, qualora lo si desideri. Se è vero che la libera circolazione è uno dei pilastri cruciali su cui si fonda l’Europa di oggi – l’Europa anche, di tutti i giovani e meno giovani che ogni giorno lasciano il proprio Paese per cercare di costruirsi un futuro altrove -, diventa obbligatorio, quasi naturale, chiedersi: ma quanto, libera?

E siamo decisamente convinti che per rispondere a questa domanda, per aggiungere un tassello affinché questa libertà fondamentale sia effettiva, occorra innanzitutto costruire le condizioni per fornire a questi ragazzi e ragazze, questi uomini e donne una scelta. Rivendicando, per citare Delfina Licata, non “un” generico diritto, ma tre: il diritto di partire, il diritto di restare e il diritto di tornare.