Quanti immigrati ci sono in Belgio? E’ vero che occupano i posti di lavoro dei cittadini nazionali? Sono integrati? Le frontiere, si possono chiudere?
A queste ed altre domande hanno voluto rispondere Jean-Michel Lafleur, sociologo belga e direttore del CEDEM (Centro per gli studi sull’etnicità e le migrazioni dell’Università di Liegi) e Abdeslam Marfouk, nel loro studio intitolato “Perché l’immigrazione? 21 domande che i belgi si pongono sulle migrazioni internazionali nel XXI secolo”. Il libro, accolto in Belgio da un notevole successo dopo solo due settimane dalla sua pubblicazione, è disponibile gratuitamente sul sito dell’Università di Liegi.
Scarse conoscenze sull’immigrazione
Come lo stesso Lafleur ha spiegato, il libro nasce dall’esigenza di diffondere presso il grande pubblico informazioni e conoscenze attendibili sul fenomeno migratorio, di cui la popolazione belga si è dimostrata generalmente carente. Carenza, questa, che si presta a lasciare spazio, in Belgio come altrove in Europa, a tutta una serie di pregiudizi e stereotipi, tanto sul fenomeno migratorio nella sua dimensione globale, quanto sulle persone migranti stesse. “Quest’opera”, racconta Lafleur, “nasce da una situazione cui ci confrontiamo regolarmente durante le conferenze, in classe o in sede di interventi pubblici, in cui le persone in Belgio, la popolazione, ha una forte carenza d’informazioni riguardo all’immigrazione. In generale la popolazione fa richiesta di tali informazioni perché sempre più persone sono curiose, alle volte persino preoccupate, e vorrebbero poter dibattere la questione senza affidarsi esclusivamente ai clichés ed agli stereotipi che si ascoltano spesso”.
In termini di responsabilità politica e sociale di tale situazione, ovvero chiedendosi se parte del problema dipenda dal peso degli argomenti populisti e dei facili slogan e anatemi che questi diffondono nella popolazione, senza che si riesca ad opporvi contro-argomentazioni scientifiche, Lafleur sottolinea: “Una parte del problema è effettivamente che parte del mondo politico belga privilegia l’uso di un vocabolario decisamente negativo, quando si riferisce ai migranti. Inoltre, vengono selezionati sistematicamente quei dati che mettono in luce gli aspetti negativi del fenomeno, a discapito di quelli che invece contribuiscono a mostrare un’immagine ben più complessa e sfumata del fenomeno migratorio”. Lafleur sostiene inoltre che, senza dubbio, buona parte della responsabilità in questa “catena della cattiva informazione” è da attribuirsi altresì a quei media che ritrasmettono detti messaggi politici senza alcun filtro o differente interpretazione.
Gli immigrati rappresentano un pericolo per la società? Un sistema più severo nei confronti degli stranieri
“Non dimentichiamoci”, sostiene Lafleur, “che in Belgio un immigrato è una persona che è nata in un Paese straniero. E che quindi, se oggi vogliamo parlare di legami tra migrazione e criminalità, si può ad esempio fare affidamento sulle statistiche sulla presenza di persone di origine straniera nelle carceri belghe. In questo caso, occorre constatare che effettivamente in Belgio si ha una sovra-rappresentazione degli stranieri nelle carceri – e questa problematica è ancora più accentuata in Belgio che altrove. Cosa ci può dire la ricerca su questo tema? La ricerca ci dice, ad esempio, che molto spesso tale sovra-rappresentazione si spiega con il fatto che gli stranieri in Belgio sono spesso sanzionati in maniera più grave rispetto ai cittadini nazionali dal sistema giudiziario, che beneficiano in misura minore di misure quali la libertà condizionata, o, ancora, che sono oggetto di sorveglianza e controlli crescenti da parte della polizia”. E, precisa Lafleur: “Queste conclusioni sono frutto di lavori di ricerca scientifici, condotti in Belgio, che pongono l’accento sulla contestualizzazione delle cifre in materia di criminalità tra le persone di origine straniera”.
Un’opinione pubblica divisa sulla questione
Come sono state scelte, quindi, le “21 domande” oggetto del libro? “Siamo partiti”, spiega Lafleur, “da un gran lavoro di indagine a livello europeo, l’Indagine Sociale Europea, che circa ogni tre o quattro anni fa una fotografia dell’opinione pubblica in Europa. Si tratta di uno dei sondaggi esistenti più affidabili, dunque siamo partiti proprio da questa indagine per fare anche noi un’istantanea di ciò che pensano i belgi”.
Secondo l’autore del libro, uno dei grandi vantaggi dell’indagine “è che essa segnala, innanzitutto, che l’opinione pubblica belga è relativamente divisa sulla questione. Certo, in generale le persone sono preoccupate, ma se oggi in Belgio si parla, ad esempio, di richiedenti asilo, il 30% circa della popolazione ritiene che il governo belga debba mostrarsi più generoso nei confronti delle richieste di asilo. Questo significa che i sentimenti di opposizione alla migrazione e d’inquietudine non sono condivisi dalla totalità della popolazione. Resta senza dubbio una maggioranza, ma esistono persone oggi che sono disposte ad avere una politica d’accoglienza aperta”.
Lo stesso discorso può essere esteso alla maggior parte dei Paesi europei – tra cui l’Italia, in cui, nonostante studi e sondaggi confermino che buona parte della popolazione ritiene l’immigrazione una delle principali minacce nazionali, altrettanti studi, anche di agenzie europee ed internazionali, ribadiscono come tali timori non rispecchino affatto i dati reali sul fenomeno migratorio. Al tempo stesso, sempre più numerose e forti si levano le voci di coloro che, in tutta Europa, si schierano a fianco dei migranti e domandano politiche migratorie più giuste ed aperte.
Un’opera di divulgazione per favorire un dibattito consapevole
Il libro dei due autori belgi è, dunque, un’opera di divulgazione destinata al grande pubblico al fine di arricchire il dibattito, che mira a “fornire delle chiavi per comprendere”.
Si legge nell’introduzione del libro: “Quest’opera parte dall’assunto che ogni società democratica debba permettere di dibattere sui fenomeni che, come l’immigrazione, trasformano il vivere insieme. Tali dibattiti esigono tuttavia, da coloro che vi prendono parte, che vengano mobilizzati argomenti differenti da quelli basati sull’esperienza individuale o sugli stereotipi. L’obiettivo di quest’opera è dunque di fornire degli strumenti che contribuiscano a favorire la nascita di dibattiti razionali e consapevoli sull’immigrazione“.
Il grande merito del libro di Lafleur è dunque non tanto o meglio, non solo quello di fornire una misura della percezione del fenomeno migratorio in una società specifica come può essere quella belga, ma anche quello di mettere in luce la trasversalità dei pregiudizi e degli stereotipi nei confronti delle migrazioni e dei migranti stessi su scala globale, in Belgio come nel resto d’Europa e del mondo.
Non resta che da auspicarsi che gli effetti positivi che questo libro hanno innescato nella riflessione e nel dibattito intorno al fenomeno migratorio in Belgio, possano propagarsi anche ben aldilà dei confini del piccolo regno nel cuore d’Europa.
Per saperne di più e scaricare il libro (in francese), visitare il sito dell’Università di Liegi.