
Giovanna Iacobucci, direttrice dell’INCA Svezia, ci racconta l’esperienza di Pensionsrättvisa, l’organizzazione svedese che negli ultimi si batte per un sistema pensionistico più giusto, con un’attenzione particolare ai rischi di esclusione per donne e immigrati
Pensionsrättvisa, l’organizzazione che sta creando opinione in Svezia, evidenziando le problematicità intrinseche al sistema pensionistico svedese, soprattutto per quanto riguarda le donne e gli immigrati, è stata in questi giorni scelta, insieme ad altre due ONG, quale finalista al titolo di “Iniziativa dell’anno”, assegnato ad associazioni o persone che sviluppano idee per un concreto cambiamento della società. La prestigiosa nomina viene assegnata dal Forum svedese per organizzazioni no-profit.
In qualità di direttrice dell’ufficio INCA di Stoccolma, sono entrata in contatto con l’iniziativa Pensionsrättvisa nel 2017, in occasione di un dibattito sul sistema pensionistico svedese al quale era stata invitata come rappresentante dell’INCA Svezia. Da allora la collaborazione tra l’INCA Svezia ed il gruppo si è fatta sempre più stretta fino a vedere, da gennaio di quest’anno, una partecipazione nel direttivo dell’appena costituita associazione Pensionsrättvisa. L’iniziativa originaria è nata nel 2016 da un forum online di giovani donne immigrate o figlie di immigrati. Nel forum si era palesato il bisogno, da parte di più persone, di parlare di pensioni e la preoccupazione relativa non solo al proprio futuro ma anche a quello dei propri genitori. Molte giovani donne s’interrogavano riguardo al rischio, per i propri genitori, di non essere in grado di riuscire a provvedere al proprio sostentamento nel momento in cui fossero andati in pensione. Da allora Pensionsrättvisa ha partecipato a dibattiti, interviste in radio e podcast e pubblicato articoli sui quotidiani e sulle riviste di maggior rilievo in Svezia, come DN Dagens Nyheter, Metro, ETC e Bang.

Oggi in Svezia sono più di 230.000 i pensionati in stato di povertà, se si considerano gli standard europei. Le donne immigrate costituiscono il gruppo sociale titolare delle pensioni più povere. In Svezia c’è l’obbligo di residenza di 40 anni per poter ottenere una piena garantipension (la parte della pensione minima garantita) e si discute di aumentare l’età pensionabile. La discriminazione che colpisce gli immigrati e i loro figli nell’accesso al mondo del lavoro investe, di conseguenza, anche la loro pensione. Nonostante le incitazioni dell’ente pensionistico svedese e le promesse di diversi quotidiani circa la possibilità di influenzare la propria pensione in modo positivo, la realtà per molte persone, soprattutto le donne e gli immigrati appunto, è quella di non poter operare una scelta. Il sistema pensionistico inaugurato alla fine degli anni ’90, pensato come un sistema egualitario e paritario e basato sulla “restituzione” sotto forma di pensione di quanto viene versato durante la vita lavorativa, si è dimostrato essere un sistema che riflette la discriminazione subita negli anni lavorativi.
La riforma del sistema pensionistico svedese, entrata poi in vigore agli inizi degli anni 2000, prevede infatti il principio del reddito percepito, alla luce del quale tutti i redditi percepiti durante la vita lavorativa contribuiscono a costruire la futura pensione. Secondo gli ideatori del sistema, esso avrebbe portato a pensioni più paritarie tra i sessi, poiché la pensione veniva determinata in base allo stipendio ricevuto indifferentemente dal sesso. Quello che il governo dell’epoca non aveva considerato nelle sue analisi e previsioni era la situazione delle donne nel mercato del lavoro e nella società in generale. Le donne infatti hanno bisogno in modo più frequente rispetto agli uomini di lavorare part-time per potersi prendere cura dei figli e dei parenti malati. Ancora oggi le donne hanno uno stipendio pari in media all’80% rispetto a quello percepito dagli uomini per lo stesso tipo di lavoro. Le categorie di lavoro con spiccata presenza femminile, come per esempio la sanità, hanno in media stipendi più bassi rispetto a quelle in cui gli uomini sono maggiormente rappresentati. La conseguenza di questa catena è che stipendi più bassi risultano in una pensione più bassa rispetto a quella degli uomini.
Che le donne fossero pesantemente penalizzate da questo nuovo sistema è risultato da subito evidente e la questione è stata a lungo discussa. Ancora oggi, peraltro, le donne oltre a percepire uno stipendio più basso rispetto agli uomini a parità di mansioni, sono le persone maggiormente coinvolte nella cura dei figli e dei parenti e trovano lavoro, generalmente, in comparti con stipendi più bassi e a più alto rischio di malattia, quali l’assistenza domiciliare, la cura degli anziani, le pulizie ecc. Un gruppo del quale però non si era mai parlato nel dibattito pubblico è quello degli immigrati. Il 96% dei pensionati che versano in condizioni di maggiore povertà è nato fuori dalla Svezia. Una persona nata in Svezia percepisce mediamente 2.000 corone (circa 190 euro) di pensione statale in più rispetto ad una persona nata in un altro paese e trasferitasi poi in Svezia. Inoltre, come già detto sopra, per maturare il diritto alla pensione garantita (garantipension) – che spetta a persone con contribuzione bassa o nulla – bisogna aver vissuto in Svezia quarant’anni dal compimento dei sedici anni di età.
L’organizzazione Pensionsrättvisa dà voce alla preoccupazione, alla rabbia e alla frustrazione di molti. Oggi infatti sono tanti i giovani preoccupati per i propri genitori destinati a diventare pensionati poveri, che avranno difficoltà a pagare l’affitto o il dentista e forse saranno costretti a tornare nella nazione che hanno lasciato in guerra. Molti di loro già sostengono economicamente i genitori pensionati e provano rabbia nel vedere i propri cari, che hanno contribuito a costruire il tanto celebrato welfare svedese lavorando tutta la vita con dedizione nella sanità, nell’industria, nei trasporti pubblici, doversi accontentare di una pensione con la quale possono a malapena sopravvivere. Tanti sono i giovani, nati o trasferitisi da bambini in Svezia, a provare frustrazione nel vedere i propri genitori essere discriminati a causa del colore della pelle, del sesso o della nazionalità.
Quello che Pensionsrättvisa cerca di sottolineare è il bisogno di usare una prospettiva di tipo intersettoriale che riconosca le grandi differenze in termini di presupposti, possibilità e potere esistenti nel campo del lavoro, sia tra i sessi che all’interno dei due sessi. Pensionsrättvisa ritiene che vi sia una stretta relazione tra potere, disuguaglianza e categorie quali età, classe, disabilità, etnicità, sesso e sessualità e che sia fondamentale capire come tali variabili interagiscano fra loro. Secondo questa prospettiva tali categorie non sono separabili o comprensibili in modo isolato, ma si sovrappongono in diverse situazioni. Le possibilità e la condizione di una donna, per esempio, non dipendono solo dal fatto che è donna quanto anche dal ceto a cui appartiene, dall’età, dalla nazione in cui è nata, dall’appartenenza etnica e così via.

Questione di “scelta individuale”
Spesso in Svezia quando si parla di pensione si parla anche di scelta libera ed individuale. Basta fare le giuste scelte nella vita, come se fosse possibile per tutti farle, ed il risultato sarà quello di poter vivere con una buona pensione. Questo tipo di retorica si basa sul presupposto che tutte le persone siano uguali e partano dalle stesse basi. Il fatto è che nella realtà non è così, visto che non possiamo decidere con che corpo nasciamo e quali attributi gli vengono assegnati. Questo tipo di visione non tiene conto delle persone reali, che non sempre o non tutte hanno le stesse possibilità di ottenere un buon lavoro, a causa delle strutture discriminatorie nella società. Visto che la pensione viene calcolata in base a quanto si è lavorato e guadagnato durante la propria vita lavorativa, è evidente che la discussione riguardante il sistema pensionistico deve tener conto di una prospettiva di classe e basarsi su un’analisi del potere.
I lavori da operai vengono considerati come “lavori facili” e vengono retribuiti di conseguenza meno in confronto a quelli impiegatizi. Un lavoro in ufficio crea normalmente delle prospettive economiche di gran lunga migliori rispetto a lavori nel campo della sanità, dei servizi, dell’industria e dell’artigianato. Molti tipi di lavoro all’interno di queste categorie sono altamente usuranti e fanno sì che i lavoratori più spesso di altri vadano in malattia, non possano più lavorare a tempo pieno e siano costretti ad andare in pensione in anticipo. Allo stesso tempo gli operai ed i lavoratori di questi settori non costituiscono un gruppo omogeneo ma al loro interno ci sono gruppi che hanno la vita ancora più difficile. Tra questi, per esempio, gli immigrati. Il razzismo presente in tutte le istituzioni, nel mondo del lavoro e nella società in generale rende difficile per tutti quelli che non rientrano nella norma “bianco e svedese” l’accesso ad un lavoro che sia in linea con i propri studi o ad un lavoro di qualsiasi tipo. Secondo numerose ricerche, in Svezia le persone classificate come “non bianche” hanno maggiore difficoltà ad avere un lavoro rispetto a degli svedesi bianchi, a parità di educazione ed esperienza lavorativa. Tra questi poi le donne immigrate sono il gruppo con gli stipendi e, conseguentemente le pensioni, più basse. Se è vero che la maggioranza dei pensionati poveri in Svezia è rappresentata da donne e che una pensionata su quattro vive in Svezia al di sotto dello standard europeo di povertà, è purtroppo ancor più vero che le donne immigrate sono le più povere fra i poveri, ricevendo le pensioni più basse in assoluto, anche secondo la statistica dello stesso ente pensionistico svedese, Pensionsmyndigheten.

Problemi di tipo strutturale richiedono soluzioni di tipo strutturale
E’ vero che in Svezia si parla anche di classe e ceto nel dibattito sul sistema pensionistico. Ed è vero che si parla molto delle ingiustizie che colpiscono le donne nel mondo del lavoro e che si rispecchiano poi nella pensione; ma quando guardiamo più attentamente sono principalmente le voci di donne bianche, svedesi di nascita, che prevalgono e che vengono ascoltate.
Ci si potrebbe aggiungere al coro di tanti quotidiani e dei diversi enti pensionistici pubblici e privati ed invitare le persone a mettere da parte soldi in tempo, a cominciare a lavorare il prima possibile, investire rischiando in azioni e fondi pensionistici. E quei consigli porterebbero sicuramente dei vantaggi per alcune persone ma assolutamente non per tutte. Per questo è importante spostare il focus del dibattito sul sistema pensionistico dalla responsabilità individuale a quella strutturale. La responsabilità di riformare il sistema spetta a chi ha il potere di operare cambiamenti strutturali.
Per questo il sistema ha bisogno di essere modificato in modo da aumentare la pensione statale basata sui contributi, aumentare la parte minima garantita (garantipension), ridurre o abolire del tutto il requisito dei 40 anni di residenza in Svezia per ottenere la pensione minima garantita intera. Queste modifiche devono essere discusse in parlamento alla presenza di tutti gli schieramenti politici e non, come è accaduto finora, da un gruppo ristretto costituito dagli stessi partiti ideatori del sistema pensionistico attualmente vigente.
L’obiettivo finale che Pensionsrättvisa si prefigge è dunque quello di contribuire alla creazione di un nuovo sistema in cui tutte le persone si vedano riconosciuto il diritto ad una pensione dignitosa, indifferentemente dall’origine etnica, dal colore della pelle, dall’identità sessuale e di genere, dall’abilità fisica, dal reddito o dal mestiere. Fino a che tale obiettivo non verrà realizzato, è necessario porre in atto dei correttivi del sistema attuale che rendano meno inique le condizioni di vita dei pensionati più poveri. Tali correttivi, alcuni dei quali già peraltro posti in essere (ad esempio l’abbassamento delle tasse sulle pensioni o l’aumento dell’assegno sociale per il costo dell’abitazione) possono solo essere temporanei poiché i bug, gli errori di sistema nascosti, come la discriminazione nel mondo del lavoro, faranno si che il sistema vada in tilt di nuovo.
Per questo Pensionsrättvisa ritiene indispensabile e si batte per un reboot totale del sistema pensionistico svedese.