Non si può descrivere come un’estate tranquilla quella che si è appena conclusa in terra britannica. La Brexit è stata ovviamente la protagonista dell’estate, con colpi di scena, annunci trionfanti, previsioni tragiche e le dimissioni dell’ex Primo Ministro e leader dei Conservatori Theresa May, crollata sotto i colpi di ben tre accordi sull’uscita dall’UE bocciati in Parlamento e dalle ambizioni dei cosiddetti hard Brexeteers conservatori capitanati da Boris Johnson. Utilizzando un’agenda tutta incentrata sull’uscita dall’UE con o senza accordo, piena di slogan trionfanti sul futuro del Regno Unito, il 23 luglio Boris Johnson ha conquistato con facilità la leadership del partito conservatore e quindi la premiership britannica.
La data del 31 Ottobre, quando il Regno Unito dovrebbe uscire dall’Unione Europea, è stata ripetuta con cadenza quasi giornaliera dal nuovo Primo Ministro britannico e dal suo gabinetto, ribadendo che sia in caso di deal (accordo con l’UE approvato dal Parlamento) che di no-deal (nessun accordo approvato) il Regno Unito uscirà il 31 Ottobre. Lo scenario di un no-deal e quindi della cosiddetta hard Brexit (Brexit “dura”) ha già registrato i primi contraccolpi: si prevede un aumento sostanziale dei prezzi dei beni di prima necessità che il Regno Unito importa dall’UE, come alcuni generi alimentari e medicine, senza calcolare la debolezza della sterlina già in forte calo nei confronti del dollaro e dell’Euro e che potrebbe subire un’importante svalutazione in caso di hard Brexit.
Uno dei nodi cruciali della trattativa Brexit di questa estate, continua ad essere il cosiddetto backstop (la clausola di salvaguardia che eviterebbe il ripristino del confine fisico tra Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda). La posizione di Johnson è quella di eliminare il backstop che sarà sostituito dai dei non meglio precisati accordi alternativi (alternative arrangements) utilizzando dei controlli virtuali tecnologici al confine con la Repubblica d’Irlanda che però non sono stati ancora inventati. La cancelliera tedesca Angela Merkel ed il Presidente francese Emmanuel Macron, che hanno incontrato il nuovo premier britannico in due occasioni preliminari al G7 del 24-26 agosto, hanno ribadito che il backstop è uno strumento indispensabile a tutelare il mercato unico europeo ed a rispettare gli storici accordi di pace tra le due Irlande, tuttavia, si dicono disposti a discutere su eventuali proposte alternative da parte del governo britannico. I due leader hanno sottolineato che non sarà l’Europa la responsabile di un no-deal Brexit, ma sarà una decisione del Governo di Londra.
A conclusione di questa “calda estate”, il premier Boris Johnson ha chiesto ed ottenuto dalla Regina Elisabetta II la proroga del rientro dalle vacanze del Parlamento, fino al 14 Ottobre. Si tratta di una vera e propria sospensione dei lavori parlamentari che di fatto limita i tempi di discussione in Parlamento dei termini dell’accordo sulla Brexit che andrebbero conclusi prima del 31 ottobre. Questa decisione ha scatenato l’indignazione di gran parte della popolazione e la sollevazione dell’opposizione parlamentare, capitanata dal leader laburista Jeremy Corbyn. Per contrastare una decisione costituzionale ma ritenuta politicamente antidemocratica, sabato 31 Agosto migliaia di persone hanno presidiato Downing Street, manifestando un forte dissenso con la politica di Johnson.
A complicare i piani di Boris Johnson, il 3 settembre il parlamentare conservatore Oliver Letwin ha presentato una proposta di legge che esclude un’uscita dall’Unione Europea senza accordo (anti no-deal). Johnson si è appellato alla responsabilità dei parlamentari conservatori, esortandoli a seguire la linea del leader del partito, pena il rischio di espulsione dal partito.
La votazione alla Camera dei Comuni si è conclusa con 321 voti a favore della proposta di Letwin e 301 contro: dunque, 21 parlamentari della maggioranza hanno votato con l’opposizione e sono stati espulsi dal partito conservatore e Boris Johnson ha perso la maggioranza in Parlamento.
La sconfitta è stata talmente bruciante che Boris Johnson ha chiesto di andare ad elezioni anticipate il 14 ottobre: tuttavia, per richiedere nuove elezioni la proposta deve essere votata dai due terzi dei parlamentari e quindi anche dall’opposizione. Mercoledì 4 settembre il Parlamento ha bocciato anche la richiesta di elezioni anticipate, con Corbyn che ha dichiarato che si andrà ad elezioni solo dopo che la Regina avrà firmato la legge che blocca definitivamente l’uscita dall’Unione Europea con il no-deal.
L’incertezza rimane quindi la protagonista dello scenario politico e sociale britannico, con un Governo senza maggioranza, un’opposizione sempre più unita nel bloccare un no-deal Brexit e -sostanzialmente- tutte le opzioni ancora sul tavolo. Intanto, la data del 31 ottobre si fa sempre più vicina.
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