Il numero di persone inviate temporaneamente dalle loro imprese a lavorare in un altro stato comunitario ha raggiunto i 2,3 milioni di lavoratori in ‘distacco’ nel 2016. La Direttiva 2018/957/UE riforma la normativa vigente in materia di condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati.
La definizione di lavoratore “distaccato” si applica a quei lavoratori che vengono inviati dal proprio datore di lavoro a svolgere un’attività professionale in un altro Paese per un periodo di tempo limitato, nel rispetto del principio della libera circolazione dei servizi nell’Unione Europea, secondo il quale le imprese possono fornire un servizio in un altro Stato membro senza doversi stabilire in tale Paese.
Il lavoratore distaccato si distingue però, in termini di diritti, dal lavoratore mobile, che va a cercare lavoro e lavorare in un altro Paese. A differenza dei lavoratori mobili, i lavoratori distaccati rimangono alle dipendenze dell’impresa che li invia e il loro soggiorno è temporaneo. Per questo motivo, non si integrano nel mercato del lavoro del Paese che li riceve e rimangono coperti dal sistema di sicurezza sociale del Paese d’origine. Esistono tre tipologie di distacco: all’interno della stessa impresa, tra filiali con sede in Stati membri diversi; nell’ambito di appalti transnazionali; nell’ambito della somministrazione transnazionale di lavoro.
In Europa, il numero di persone inviate temporaneamente dalle loro imprese a lavorare in un altro stato comunitario ha raggiunto i 2,3 milioni di lavoratori in ‘distacco’ nel 2016, il 50% in più rispetto al 2011. Questo è quanto rivelato da una ricerca dell’Università Ca’ Foscari Venezia e svolta sul campo in 9 paesi, tra cui l’Italia.
I dati raccolti dal Parlamento europeo confermano che l’82,3% dei lavoratori distaccati si trova in 15 Paesi europei. Germania, Francia e Belgio ricevono il numero più alto di lavoratori e da soli ospitano circa il 50% di tutti i lavoratori distaccati in Europa. I paesi che più inviano lavoratori distaccati all’estero sono la Polonia, la Germania e la Slovenia.
Lo studio dell’Università Ca’ Foscari ha riportato, tra le altre cose, come il ricorso al distacco all’interno dell’UE venga spesso utilizzato come strumento per esercitare varie forme di dumping sociale. Questo accade, precisa lo studio, facendo leva in particolare su due aspetti: il differenziale tra gli standard retributivi minimi e il salario medio del Paese in cui il lavoratore viene distaccato; la differenza tra i regimi contributivi e di tassazione tra i Paesi che inviano i lavoratori distaccati e i paesi che li ricevono- in particolare i Paesi dell’Europa orientale presentano livelli contributivi e di tassazione molto più bassi rispetto ai paesi dell’Europa occidentale.
Come riportato dalla ricerca, attualmente lo stipendio del lavoratore distaccato è quello del Paese di origine, ma arriva ad essere del 30% inferiore agli stipendi del Paese di destinazione. Il tentativo di abbassare il costo del lavoro attraverso il ricorso al distacco ha portato a una vera e propria esplosione del fenomeno, in particolare nel settore delle costruzioni (45% dei distacchi) e dell’industria (24%) e in alcuni rami dei servizi (29%, in particolare nel trasporto), ovvero in settori in cui il costo del lavoro vivo costituisce una voce importante dei bilanci delle imprese.
Il distacco intracomunitario è regolato da tre direttive europee (Direttiva 1996/71/CE, Direttiva 2014/67/UE, e la recente Direttiva 2018/957/UE che riforma quella del ’96) che stabiliscono le condizioni di lavoro, contributive e salariali dei lavoratori distaccati.
Nel corso degli ultimi vent’anni, non solo le condizioni economiche e sociali in Europa sono profondamente mutate, ma lo stesso mercato del lavoro ha subito numerosi stravolgimenti, tanto a livello comunitario che nazionale. Le differenze spesso profonde in termini di costo del lavoro e di sicurezza sociale nei diversi Paesi del’Unione fanno sì che il lavoro distaccato si presti ad essere utilizzato quale strumento per riprodurre dette differenze, che si traducono inevitabilmente in gravi disuguaglianze economiche e sociali tra i lavoratori stessi. La necessità di una riforma della normativa vigente si è fatta pertanto, nel tempo, sempre più pressante.
Nel giugno 2018, dopo lunghi e faticosi negoziati durati quasi due anni, è stata adottata dalla Commissione la nuova Direttiva 2018/957/UE, che apporta significative modifiche alla Direttiva del 1996, con l’obiettivo di favorire le condizioni per assicurare che i lavoratori europei distaccati in un altro Paese dell’Unione beneficino di condizioni salariali eque, secondo il principio “salario uguale a lavoro uguale sullo stesso luogo di lavoro”.
La vecchia direttiva stabiliva già, per alcune materie, che i lavoratori distaccati fossero soggetti alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative del Paese ospitante – ad esempio, in materia di periodi massimi di lavoro, riposo e ferie retribuite, tariffe minime salariali, salute, sicurezza e igiene sul lavoro, tutela delle gestanti e parità di trattamento fra uomo e donna.
Ecco alcuni dei principali ambiti di incidenza della nuova Direttiva.
Il distacco di lunga durata: il distacco può durare fino a 12 mesi, con una possibile proroga di 6 mesi (fino quindi ad un massimo totale di 18). Nel caso di un periodo più lungo di durata del distacco, si applicheranno “tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro”. Retribuzione: tutte le norme del Paese ospitante si applicano a tutti i lavoratori distaccati sin dal primo giorno, vale a dire il principio della parità di retribuzione per lo stesso lavoro nello stesso luogo. Per quanto riguarda altri elementi della remunerazione, la revisione introduce norme più chiare in materia di indennità, mentre le spese di viaggio, vitto e alloggio non sono deducibili dalle retribuzioni dei lavoratori. Condizioni di lavoro: gli Stati membri possono applicare contratti collettivi regionali o settoriali, di ampia portata e rappresentativi. Questo è finora valso soltanto per gli accordi collettivi di applicazione generale nel settore delle costruzioni. Lavoratori temporanei tramite agenzia: la riforma garantisce la parità di trattamento dei lavoratori temporanei distaccati tramite agenzie interinali, cui si applicano le stesse condizioni applicate alle agenzie transfrontaliere che assumono lavoratori temporanei.
Il recepimento della Direttiva negli ordinamenti nazionali deve essere concluso entro il 30 Luglio 2020 e la Direttiva non può essere applicata prima di quella data.
L’Osservatorio di ITACA sulle Migrazioni e la Mobilità Internazionale si occuperà di monitorare i progressi compiuti dagli Stati membri in materia di recepimento e implementazione della Direttiva nel corso dei prossimi mesi.