Sono due le principali aree di provenienza dell’immigrazione in Spagna: i paesi del Nord Africa, primi fra tutti il Marocco, e l’America Latina. Ciò non significa che le numerose comunità giunte da altri continenti possano considerarsi omogenee tra loro, anzi: in molti casi le differenze interne reciproche sono vistose.
Soltanto di recente sono stati pubblicati studi attendibili sugli effetti di questo fenomeno sociale e, nel dettaglio, sul livello di integrazione dei nuovi abitanti con un passato di migrazione alle spalle all’interno della popolazione spagnola: bisognava attendere che questi si stabilissero in maniera definitiva e che la generazione dei loro figli si inserisse a tutti gli effetti nel mercato del lavoro e negli stili di vita del paese di adozione. Le ragioni storiche sono evidenti. Per lunghi decenni, finché il vecchio regime franchista è sopravvissuto alla sorte degli altri fascismi novecenteschi, la Spagna è rimasta infatti chiusa nei propri confini, fondamentalmente impermeabile ai fenomeni migratori con i quali gli altri paesi europei avevano invece familiarità già da tempo.
I primi immigrati sono arrivati nel corso degli anni Ottanta. Il dittatore Franco era morto da poco, nel 1975, e la giovane democrazia spagnola si avviava verso un rapido sviluppo economico e un’effervescenza sociale, come a svegliarsi da un lungo letargo. Nella maggior parte dei casi, le prime generazioni di immigrati di questo periodo giungevano in Spagna in fuga da situazioni di povertà, alla ricerca di prospettive di vita più dignitose. Fa eccezione – come si dirà – il gruppo degli argentini, in gran parte composto da professionisti della classe media e medio-alta, con motivazioni, non da ultimo, anche politiche. Molti di loro fuggivano infatti dal regime feroce del generale Videla, costato all’Argentina trentamila desaparecidos.
I pionieri dell’immigrazione da paesi poveri verso la Spagna sono stati invece i marocchini. Alla fine degli anni Ottanta erano loro il gruppo più numeroso, almeno dieci volte di più di qualunque altra nazionalità. Per lungo tempo, lo stereotipo dell’immigrato nell’opinione pubblica spagnola coincide con la figura del marocchino entrato illegalmente dalla costa meridionale e contrassegnato da una scarsa, se non sprezzante, percezione collettiva.
In gran maggioranza si trattava di maschi e provenienti dall’area settentrionale del Marocco, meno sviluppata rispetto al centro e al sud. Si insediavano in larga parte nell’Andalusia meridionale, in prossimità quindi del luogo di arrivo. Raramente erano in possesso di titoli di studio, ma la disponibilità ai lavori manuali e le capacità pratico-operative ne hanno fatto lavoratori dal profilo ricercato. Anche le donne, sopraggiunte in Spagna nel corso del tempo nel ruolo di mogli, trovavano una collocazione professionale come lavoratrici nei servizi domestici.
Negli anni, i marocchini hanno dimostrato un’attitudine a mantenere legami di coesione all’interno della propria comunità, creando una rete di sostegno all’ingresso nel paese, legale o meno che fosse. Man mano che i nuovi arrivavano, potevano già disporre di contatti e informazioni utili a trovare alloggio e lavoro. La prima organizzazione sindacale su base etnica è natanel 1989: l’Associazione dei lavoratori marocchini immigrati in Spagna.
Per quanto riguarda invece l’immigrazione proveniente dall’America Latina, bisogna distinguere il gruppo dei dominicani. A differenza dei marocchini, hanno fatto il loro ingresso nella società spagnola in un vuoto di informazioni sul proprio conto, in una sorta di silenzio cognitivo. Gli spagnoli non ne sapevano quasi nulla e quando gli immigrati dominicani arrivavano, sembrava non se ne accorgesse nessuno, tranne per il fatto di possedere il tratto somatico della pelle scura, il che ne ha fatto un gruppo oggetto di attacchi da parte dei movimenti xenofobi più radicali. L’episodio più tragico fu senza dubbio l’uccisione della giovane donna dominicana Lucrecia Pérez alla periferia di Madrid nel 1992.
Strano destino, quello di un’altra nazionalità, sempre proveniente dall’America Latina: i peruviani. Sebbene avessero mediamente una formazione e titoli di studio più alti rispetto a domenicani e marocchini, hanno finito per svolgere lavori al di sotto della loro qualificazione. Tuttavia, la loro origine e l’aspetto somatico non hanno generato atteggiamenti di rifiuto da parte dello spagnolo medio.
Storia a parte – e di lunga data – quella degli scambi e dei movimenti di uomini e donne tra Argentina e Spagna. È una vicenda – per venire al tema centrale – che affonda le radici agli inizi del XIX secolo, quando gli argentini ottennero l’indipendenza proprio dalla Spagna. Nonostante i precedenti politici, non ci fu mai una vera e propria rottura con l’ex potenza colonialista, neppure nelle fasi più tormentate della loro storia.
Si è già accennato all’emigrazione verso la Spagna negli anni Ottanta, indotta soprattutto dalla repressione della dittatura militare in Argentina. Quella fu una fase inedita per gli argentini, che ribaltò completamente gli schemi del passato. Se per tutto il XIX secolo e ancora per buona parte del XX l’Argentina era stata la meta prediletta di emigrati europei, soprattutto spagnoli e italiani, ora la storia si ripeteva ma a parti rovesciate.
A partire dalla fine degli anni Settanta, la principale destinazione dei fuoriusciti argentini sarà la Spagna. È qui che tuttora vive la più numerosa comunità argentina all’estero – un risultato non solo delle brutalità delle dittature militari, ma anche di crisi economiche e finanziarie. Già sul finire degli anni Ottanta, la ristrettezza delle condizioni materiali portò la comunità argentina in Spagna a raggiungere la cifra di 16.000 persone.
Ma è soprattutto con la crisi che ha colpito l’Argentina nei primi anni duemila che il flusso ha subito un’impennata; vittime dell’intransigenza neoliberista e di una finanza senza scrupoli, gli argentini che tra il 2002 e 2008 hanno abbandonato il proprio paese hanno scelto ancora una volta la Spagna come meta prediletta. La svalutazione della moneta nazionale, l’annullamento della parità tra peso e dollaro, la grande ondata inflazionistica avevano sul lastrico larghe fasce di popolazione argentina: sono partiti in tanti, il più delle volte con famiglia (l’89 per cento) e figli minori (il 61 per cento) al seguito. Nel 2009 si contavano 103.000 argentini residenti in Spagna, ma la cifra reale probabilmente è più alta, visto che nel computo mancano i cittadini argentini entrati con passaporto spagnolo o italiano.
Per acquisire la cittadinanza spagnola secondo le leggi vigenti occorre avere nonni spagnoli, mentre nel caso degli italiani i margini sono ancora più ampi, non essendoci limiti di generazioni per rivendicare le proprie origini. Siccome i residenti italiani in Spagna si aggirano intorno ai 250.000 e di questi un quaranta per cento è nato in Argentina, si può stimare che 100.000 persone nate in Argentina vadano ad aggiungersi a quelli già registrati con nazionalità argentina.
Dopo il 2010 i numeri sono cominciati a scendere. Dalle famiglie che erano emigrate negli anni precedenti, alcune hanno fatto ritorno alla patria d’origine. Altri hanno chiesto e ottenuto nel giro di un paio anni la nazionalità spagnola, compresi gli italiani.
Nel 2012 una crisi ha inasprito temporaneamente le relazioni tra i due paesi, quando Buenos Aires ha deciso di espropriare il 51 per cento delle azioni della società petrolifera YPF, partecipata in maggioranza dagli spagnoli dell’azienda Respol. Per tutta risposta Madrid ha bloccato l’importazione del biodiesel argentino; solo lo scorso anno il governo ha ritirato il veto.
Nel 2013 i residenti argentini sono scesi a 68.000 e a 58.000 alla fine del 2016, ma le cifre ufficiali non danno conto dell’intero fenomeno. I numeri si riflettono anche nel mercato del lavoro: i contribuenti argentini iscritti come occupati nel sistema previdenziale spagnolo, sia come lavoratori dipendenti sia come autonomi, erano oltre 56.000 nel 2009 ma scendono fino a 27.700 alla fine del 2016, con un lieve aumento nello scorso anno fino a quota 31.600.
Interessante, per concludere, un cenno alla distribuzione sul territorio spagnolo. Dove vivono gli argentini residenti in Spagna? Stando a una ricerca del 2015, le prime due province nella scala delle preferenze sono Barcellona e Madrid, ma con un netto vantaggio della Catalogna. A oggi la comunità argentina, soprattutto nel confronto con gli immigrati di altra nazionalità, risulta pienamente integrata nella società spagnola, dal punto di vista culturale e degli stili di vita, come pure nel mercato del lavoro, dove non è preclusa una mobilità tra il basso e l’alto.
A differenza dei cittadini di origine marocchina o di altri paesi dell’America Latina che potevano ambire solo a lavori manuali e a bassa qualifica, gli argentini spesso sono arrivati in Spagna in possesso di esperienze lavorative pregresse e di titoli di studio medio-alti, in molti casi in veste di liberi professionisti. Ad avvantaggiarne l’integrazione rapida nel tessuto sociale rispetto alle altre nazionalità ha giocato indubbiamente anche il fatto che l’uomo medio spagnolo non nutre pregiudizi razziali rispetto agli immigrati argentini, percepiti piuttosto come propri simili nel modo di pensare e di essere. Una contiguità di stili e comportamenti che è, non da ultimo, il risultato di una lunga storia di scambi e rapporti fra le due comunità.