A casa, nel mondo

Ci siamo. Il 27 settembre sapremo se il nostro futuro in Svizzera potrà continuare così come lo avevamo immaginato. I cittadini ”comunitari” sono infatti oggetto di un referendum che pone in discussione le modalità della loro (e della nostra) permanenza nel Paese elvetico.

La destra incarnata dall’Unione democratica di centro (UDC), che a dispetto del nome si pone come soggetto fortemente orientato verso l’estrema, ha raccolto negli ultimi vent’anni un importante numero di successi e di consensi sull’asse di una politica e di una retorica anti – immigrazione molto pronunciata, cogliendo una vittoria significativa e per alcuni versi inaspettata nel 2014 quando la maggioranza degli elettori si espresse a favore del referendum denominato “contro l’immigrazione di massa”.

L’esito di quel voto chiamava il Consiglio federale, l’organo di governo elvetico, a avviare un difficile confronto con l’Unione europea, principale partner della Svizzera, per dare attuazione al mandato popolare che voleva la modifica della costituzione nella parte concernente la gestione del fenomeno migratorio. Ciò imponeva al Consiglio di ridiscutere i trattati bilaterali che legano Svizzera e UE e che si issano sul principio della libera circolazione per i cittadini europei in Svizzera e per gli svizzeri nell’Unione. Il disegno della destra fu però fortemente ridimensionato nella fase di attuazione della modifica costituzionale: grazie anche alle iniziative messe in atto dai sindacati e dalle sinistre, la rivisitazione delle norme derivanti dall’accordo sulla libera circolazione si rivelò ben più complessa e per molti aspetti inattuabile.

L’iniziativa in votazione domenica prossima, denominata “per un’immigrazione moderata”, è la continuazione diretta di questa vicenda politica, essa nasce da un sentimento da “vittoria mutilata” della destra, dalla retorica, in un’ottica tutta sovranista, del tradimento del mandato popolare che avrebbe imposto la modifica della costituzione e che si è invece concluso con una legge considerata troppo leggera dai sovranisti. Bisogna ricordare a questo proposito che circa un quarto della popolazione residente in svizzera è straniera, che un quarto dei cittadini svizzeri possiede un doppio passaporto, e che la forza lavoro proveniente dall’estero, in larga parte europea, titolare di diversi tipi di permesso di soggiorno, contribuisce largamente al benessere della Confederazione operando in settori sensibili che vanno dalla sanità alla ricerca.

Ecco allora che la relazione con l’UE resta da sempre uno dei nodi principali della politica svizzera, soprattutto da quando ad essa si lega il tema posto più spesso in votazione, quello dell’immigrazione. Per questa ragione la destra con il referendum 2020 torna a chiedere, ancor più chiaramente, al popolo elvetico di abolire la libera circolazione per regolamentare l’immigrazione attraverso la pratica dei contingenti riportando di fatto la lancetta della storia a un’epoca che soprattutto per gli italiani fu densa di sofferenze.

Trattati come merce attraverso lo statuto dello stagionale, costretti a nascondere i propri figli per paura di vederseli sottratti dalle autorità elvetiche, i nostri connazionali vissero sulla propria pelle “la paura dello straniero” (sono passati da poco cinquant’anni dall’iniziativa più cruenta della destra elvetica per costringere al rimpatrio un numero imponente di nostri concittadini).

Alla luce di questa memoria da tenere viva, la comunità italiana e migrante, la nuova e più storica emigrazione, assieme ai principali sindacati svizzeri (USS) a cominciare dal sindacato UNIA, scottati dal voto del 2014 che aveva gettato delle ombre sull’impegno della sinistra per respingere il voto xenofobo, si sono uniti in una battaglia di civiltà, che si gioca sulla pelle di chi vive e lavora in Svizzera sia esso cittadino elvetico o europeo, affinché l’iniziativa UDC sia rigettata e con essa i suoi echi regressivi.

L’alleanza politica e sociale è ampia (verdi, socialisti e liberali si sono espressi contro l’iniziativa UDC) e copre uno spettro di istanze che spaziano dalle questioni commerciali, sposate dalle organizzazioni padronali, sino alle rivendicazioni sindacali che muovono dal principio che l’attacco alla libera circolazione è un attacco alle condizioni di lavoro di tutti i salariati e soprattutto alle “misure di accompagnamento”, ovvero a quelle tutele introdotte con la libera circolazione per evitare il dumping salariale e per difendere la dignità di tutti i lavoratori in terra elvetica a prescindere dalla loro provenienza.

Come è facile immaginare in questo voto si concentrano una pluralità di temi attualissimi, dalla sovranità pensata dalla destra come un diritto esclusivo degli autoctoni fino alle condizioni di lavoro di tutte e di tutti nell’era del covid, ciò che di fatto fa di questa tornata referendaria l’ennesimo laboratorio da seguire per comprendere se un certo vento populista cominci ad arrestarsi. D’altra parte, per chi da straniero risiede e lavora in Svizzera domenica si tratterà di verificare se continuino ad esserci i presupposti per vivere con dignità in un paese aperto alla presenza dell’altro.