Annunciato come il “momento della possibile svolta”, l’incontro tra il Presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e il Premier britannico Theresa May –svoltosi lunedì 4 dicembre- in realtà ha fatto registrare un’altra battuta d’arresto nella complessa trattativa per la Brexit.
“Nonostante i nostri migliori sforzi e i progressi significativi fatti negli ultimi giorni non è stato possibile raggiungere un accordo completo oggi“, ha detto il Presidente della Commissione. Juncker ha quindi parlato di “due o tre” questioni ancora aperte che richiedono “ulteriori consultazioni, ulteriore negoziato e ulteriore discussione“.
“Due o tre questioni”, dunque. Ed occorre ricordare che –in questa fase- le questioni aperte sono proprio tre: la libertà di circolazione futura tra UE e Regno Unito, la quota che il Regno Unito dovrà versare all’Europa per il “divorzio” e lo status del confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord.
In realtà sembra essere proprio quest’ultima, il confine nordirlandese, ad impedire a Theresa May di poter procedere. Il Partito Democratico Unionista nord-irlandese (DUP, fondamentale nei numeri parlamentari per il Governo dei Tories) si è infatti opposto a una bozza di compromesso – che pure era già stata negoziata da May e Juncker. Quella bozza cercava di evitare il ritorno di una frontiera fisica tra Irlanda e Irlanda del Nord, prevedendo un “allineamento normativo” dell’Irlanda del Nord sulle regole del mercato interno e dell’unione doganale. Ma, secondo il DUP, ciò avrebbe di fatto privato il Regno Unito di una parte della sua sovranità nazionale. Il DUP, dunque, dichiara di non accettare alcuna soluzione che crei una differenza di condizioni tra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito: una posizione intransigente che non lascia alla May –se vuole conservare la sua maggioranza parlamentare- alcun margine di manovra e mediazione.
Marcia indietro del Regno Unito, dunque, e nuova battuta d’arresto. Conseguente alle debolezze politiche del Governo Conservatore d’Oltremanica.
Nelle prime reazioni, tutti si sono dimostrati ottimisti –o perlomeno volenterosi- nel poter chiudere comunque questa prima fase delle trattative entro il 15 dicembre (quando i Capi di Stato e di Governo dei Paesi UE si riuniranno per decidere se sono stati fatti progressi sufficienti per passare alla seconda fase dei negoziati su periodo transitorio e relazioni future). “Ci ritroveremo prima della fine settimana” e “sono fiduciosa che concluderemo positivamente“, ha spiegato May. I tempi sono “molto stretti“, ma un accordo nei negoziati Brexit “è ancora possibile“, ha detto il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk.
Ma la questione è più complessa di quanto possa apparire: se, infatti, sembrano delinearsi compromessi sulla libertà di circolazione e sulla “quota” per il divorzio, lo status di quel confine innesca dinamiche politiche che potrebbero travolgere non solo il Governo May, ma la stessa tenuta del Regno Unito.
Premesso che le posizioni del DUP e del Governo di Dublino sono oggi agli antipodi (il DUP non sosterrà in Parlamento alcuna “condizione particolare” di quella frontiera, mentre il Governo di Dublino ha già annunciato che metterà il veto a qualsiasi accordo che faccia “rinascere” quel confine), Theresa May sa bene che –seppur dovesse riuscire a creare su questo un compromesso politico interno alla sua maggioranza e che questo compromesso, poi, sia accettato da tutti i Capi di Stato della UE- dovrà subito dopo affrontare il “problema” della Scozia e del Galles. I leader dei due Paesi, infatti, hanno già annunciato che –se si raggiungesse un accordo per far rimanere de facto l’Irlanda del Nord nel Mercato Unico Europeo- chiederebbero immediatamente la stessa cosa. E lo stesso sembra intenzionato a fare il Sindaco di Londra, Sadiq Kahn, rivendicando il ruolo così radicato nell’Europa della propria città.
Da qui al 15 dicembre, dunque, vedremo se in queste condizioni Theresa May sarà capace di compattare la propria maggioranza su una linea che potrà sostenere nei confronti della UE, se quella proposta sarà accettata e quali saranno le conseguenze interne al Regno Unito. Mentre, oltretutto, i sondaggi di queste ore danno al Labour Party di Jeremy Corbin ormai ben otto punti di vantaggio sui Conservatori…