A casa, nel mondo
Immagine da Flickr, William Chen (CC BY-SA 2.0)

L’8 marzo, nel mondo, si celebra la Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne. L’anno appena trascorso, con la pandemia, ha acuito le disuguaglianze di genere in Italia e in Europa

Quest’anno, l’8 marzo è arrivato due volte.

In questo 2021 ci troviamo a celebrare – a vivere, la Giornata Internazionale per i Diritti delle Donne in Italia, in Europa e in tutto il mondo, ad un anno di distanza dalle prime “chiusure” dovute alla pandemia, agli inizi di marzo 2020.

Un anno è trascorso da allora, più di un secolo è trascorso dalla Conferenza Internazionale delle donne socialiste di Copenaghen del 1910, in cui le delegate decisero di istituire una giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne. Un secolo esatto da quando, nel 1921, la Seconda Conferenza delle donne comuniste a Mosca istituì proprio per l’8 marzo la Giornata internazionale dell’operaia, in ricordo della prima manifestazione delle donne di Pietroburgo contro lo zarismo, nel 1917. Nel 1977, le Nazioni Unite proclamarono infine la “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e la pace internazionale”.

Un anno, un secolo. Un anno che sembra un secolo. Perché se lo guardiamo in termini di diritti, parità e lavoro, quest’anno di pandemia ha dimostrato -se davvero ce ne fosse stato bisogno- come il nostro mondo sia ancora fondato su disuguaglianze di genere profonde, sistemiche, che non è “bastato” un secolo di lotte ad abolire.

Quest’anno di pandemia, in fin dei conti, non ha fatto che esasperare le ingiustizie, le discriminazioni e le disuguaglianze esistenti, nei sistemi economici e sociali d’Europa e del mondo, nei confronti di quelle categorie da sempre già fragilizzate dalle politiche liberiste di ogni tempo: le lavoratrici e i lavoratori, le persone migranti, le donne. Quando queste dimensioni s’intrecciano e si sovrappongono, poi, gli effetti delle crisi sono doppiamente devastanti. E’, ad esempio, il caso di tutte quelle donne, lavoratrici, migranti, madri impiegate in lavori precari o “atipici”, magari in nero, o nei settori più in crisi – in Italia e all’estero.

Abbiamo visto come nei mesi scorsi i sindacati europei, tra gli altri, avessero lanciato l’allarme sul divario salariale tra donne e uomini (Gender Pay Gap) che, se in tutti i Paesi dell’UE aveva già raggiunto livelli ormai oltre la soglia della criticità, è stato ancor più aggravato dalla crisi. O, ancora, come tra gli “effetti nascosti della pandemia” ci sia stata una preoccupante e gravissima intensificazione nelle forme di violenza nei confronti delle donne, a partire da quella domestica.

E non occorre cercare a lungo per imbattersi in studi e statistiche che quasi quotidianamente ci raccontano di un’Europa in cui le donne sono duramente penalizzate rispetto agli uomini sul mercato del lavoro: nel 2020, i dati Eurostat relativi al 2019 -dunque, solo all’epoca pre-Covid- ci parlavano di un tasso di occupazione femminile a livello europeo inferiore dell’11,7% rispetto a quello maschile. In questo quadro l’Italia, che già negli ultimi anni figurava tra i Paesi UE con uno dei più bassi tassi di occupazione femminile, si fregia di un altro grave risultato: è di dicembre 2020 il comunicato dell’Istat che ci racconta che dei 101mila lavoratori che hanno perso il lavoro a causa della pandemia, 99mila sono donne. Un quadro, insomma, di precariato femminile strutturale e diffuso in un contesto in cui proprio grazie alla pandemia ci si è al contempo ricordati di quanto sia essenziale proprio quel “lavoro di cura” che le nostre società vogliono affidato alle donne. Poco importa se non riconosciuto, poco importa se non tutelato, poco importa se sfruttato.

Una “doppia” ricorrenza questo 8 marzo, una doppia lotta.

Una “doppia” lotta perché, se vogliamo davvero proseguire nella riflessione su come ricostruire le condizioni per cui l’Italia torni ad essere un Paese in cui sia realisticamente possibile avere una vita dignitosa, dal quale non sia spinte e spinti ad andarsene per cercare di costruirsi un futuro altrove, occorre di ricordarci e ricordare ancora e una volta per tutte che non possiamo che cominciare guardando proprio a come questo nostro Paese si comporta nei confronti delle donne e di tutte e tutti coloro che sono rese e resi precari e più fragili da politiche ingiuste e discriminatorie. Partire da qui per esigere, in questo 8 marzo e sempre, politiche tese a realizzare un’effettiva parità di genere, di opportunità e di condizioni, una reale e concreta parità nell’accesso al lavoro, all’educazione, ai diritti secondo i principi di solidarietà, giustizia sociale e uguaglianza di tutte le donne e tutti gli uomini.

Perché le discriminazioni di genere non siano più una caratteristica intrinseca del sistema con cui “ci tocca” fare i conti, perché una vita dignitosa e un lavoro -magari tutelato- siano un diritto e non un privilegio, perché non avere scelta non sia più un’opzione, perché andarsene non sia più una necessità, perché un’ingiustizia nei confronti di una è un’ingiustizia nei confronti di tutte. Oggi, sempre e ovunque.

Buon otto marzo.