A casa, nel mondo

Il 18 dicembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per i diritti dei migranti, in occasione dell’adozione della Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 18 dicembre 1990. Al 2021, l’Italia e i Paesi europei e del nord del mondo ancora non hanno ratificato la Convenzione

Il 18 dicembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per i diritti dei migranti.

Questa giornata fu istituita ventuno anni fa, nel 2000, per “fissare” nella memoria l’adozione da parte delle Nazioni Unite della Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, il 18 dicembre 1990.

Basata sul principio fondamentale di non discriminazione, la Convenzione sancisce la situazione di vulnerabilità dei lavoratori e delle lavoratrici migranti, proponendo una serie di linee guida e disposizioni per combattere gli abusi e lo sfruttamento, e favorire condizioni di vita e di lavoro dignitose. Tra le altre cose, alcuni articoli della Convenzione recitano: “I lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie sono liberi di lasciare qualsiasi Stato, compreso il loro Stato di origine” (art.8); “Il diritto alla vita dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie deve essere tutelato dalla legge” (art.9); “Nessun lavoratore migrante o membro della sua famiglia deve essere sottoposto a tortura o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti” (art.10); “I lavoratori migranti beneficeranno di un trattamento non meno favorevole di quello che si applica ai cittadini dello Stato di occupazione in materia di retribuzione e altre condizioni di lavoro” (art.25).

La Convenzione entrò in vigore nel 2003: ad oggi, conta solamente 51 ratifiche, tra cui non figurano quella dell’Italia e della maggior parte dei Paesi europei e del Nord del mondo.

Non serve, purtroppo, allontanarsi più di tanto dalla soglia di casa per andare a cercare le ragioni del perché, a distanza di oltre trent’anni dalla stipula e di quasi venti dall’entrata in vigore, osservare l’assenza di certi Paesi – e del nostro Paese tra i firmatari della Convenzione faccia ogni volta sempre un po’ più male.

O, se proprio non vogliamo metterla così sul personale: “faccia ogni volta sempre un po’ più strano”.

Non serve andare lontano, anzitutto, per scoprire che al 2020 il numero di persone migranti nel mondo è di 281 milioni: ovvero, il 3,6% della popolazione mondiale. Di questi, 63 milioni – ovvero, il 23% del totale, sono nati in Europa, seguiti da Asia centrale e meridionale (51 milioni), America Latina e Caraibi (43 milioni), Asia orientale e sudorientale (38 milioni), Africa settentrionale e Asia occidentale (38 milioni) e Africa subsahariana (28 milioni).

Non serve andare lontano, poi, nemmeno per scoprire che, se nel 2020 il maggior numero di migranti internazionali ha vissuto in Europa (87 milioni di persone, seguite da 86 milioni in Asia, 59 milioni in Nord America e 25 milioni in Africa), quasi la metà di tutti i migranti internazionali risiedeva nella regione di origine, con l’Europa in testa per quanto riguarda le migrazioni intra-regionali: ovvero, il 70% dei migranti nati in Europa risiede in un altro paese europeo.

Non serve tuttavia andare lontano per ricordare come, ancora oggi in assenza di vie “sicure”, le rotte utilizzate dai migranti di altri Paesi nel disperato tentativo di raggiungere la fortezza Europa rimangano pericolose, troppo spesso mortali, quotidianamente teatro di abusi, violenze e violazioni dei diritti e della dignità delle donne e degli uomini che le percorrono. Tra il 2014 e il 2021, il Mar Mediterraneo ha visto il maggior numero di morti, togliendo la vita a oltre 22.977 persone.

Potremmo continuare con questi “numeri”, ma non ci basterebbero due paginette.

Lo spazio per un’altra considerazione, però, forse possiamo concedercelo.

Ovvero che non serve andare lontano, infine, per scoprire un ultimo “numero”: al primo gennaio 2021, mentre il numero di stranieri in Italia è di 5.035.643 (dati ISTAT), il numero di italiani all’estero è di 5.652.080 (iscritti AIRE). Ovvero, se vogliamo continuare a giocare con le operazioni algebriche: ad oggi, il numero di italiane e italiani emigrati in un altro Paese supera di oltre 600.000 il numero di persone immigrate in Italia.

Per provare a tirare alcune somme dai nostri numeri: ogni anno e ogni giorno, centinaia di migliaia di persone che cercano di raggiungere l’Europa e l’Italia in cerca di condizioni di vita e di lavoro più dignitose si vedono rigettate, respinte, bloccate contro frontiere sempre più inespugnabili e muri sempre più alti da Paesi che avrebbero il dovere di accoglierle e invece si arrogano il diritto di respingerle.

Nello stesso momento, ogni anno e ogni giorno centinaia di migliaia di giovani e meno giovano lasciano l’Italia in cerca di lavoro e di una vita migliore in un altro Paese. Il numero di italiani residenti all’estero ha ormai superato il numero di cittadini stranieri residenti in Italia e, ormai da anni, ogni studio e statistica ci dice che l’Italia è tornata ad essere strutturalmente un Paese più di emigrazione che di immigrazione.

Eppure, i nostri governi continuano quasi a far finta che i due fenomeni non abbiano niente a che fare l’uno con l’altro, che non siano facce diverse di una stessa medaglia.

Tornando alla “sensazione” che muove queste poche righe, di cui parlavamo qualche paragrafo più su: strano, no?

Ecco, se è giusto e sacrosanto che giornate come questa si continuino a celebrare ogni anno, che servano per denunciare l’ingiustizia di un mondo e di un sistema che costringe qualcuno lasciare la propria casa per cercare altrove l’opportunità di una vita dignitosa. Che servano, queste giornate, per non tacere l’incoerenza e l’ipocrisia di un mondo e di un sistema che, mentre si accanisce nel chiudere le porte a chi chiede solo di entrare, finge di non vedere tutte e tutti coloro che lascia uscire.

Che ci serva, questa giornata del 18 dicembre, quest’anno e ogni anno, per ribadire ancora una volta che un mondo che invece garantisca i diritti e la dignità di chiunque nel mondo, ovunque si trovi e da qualunque Paese provenga, non solo deve essere possibile: ma è anche l’unico mondo giusto.