A casa, nel mondo
Foto Elio Germani

Il racconto della giornata del 23 gennaio con Maurizio Landini a Bruxelles nelle parole di Giorgio Sbordoni per RadioArticolo1. 

L’editoriale di Giorgio Sbordoni racconta una giornata perfetta. A Bruxelles. Con Maurizio Landini e tanti ragazzi e ragazze della “nuova emigrazione”. Noi non avremmo proprio saputo raccontarvela meglio. Possiamo solo aggiungere una cosa: grazie, a tutte e tutti coloro che hanno partecipato, contribuito, vissuto, insieme, una giornata straordinaria.

“LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO… UNITEVI”

di Giorgio Sbordoni

Stavolta il tempo sembra essersi fermato. Nella Casa del Popolo di Bruxelles gremita di migranti italiani c’è un sindacalista, Maurizio Landini, che parla di solidarietà. Che dice che “tutti quelli che lavorano devono avere gli stessi diritti e le stesse tutele”. “Che bisogna tornare alle origini, al tempo in cui vennero fondate le prime camere del lavoro, quando tutti i lavoratori, dipendenti ma anche padroni di botteghe, decisero di mettersi insieme, di unirsi, per difendere e migliorare la propria condizione”. “Perché il lavoro non è mai stato così frammentato e precario, perché i lavoratori non sono mai stati così contrapposti”. “Perché non ci hanno mai fregato così tanto come oggi che tutti sappiamo leggere e scrivere”. L’applauso scoppia fragoroso a riscaldare il gelido inverno della capitale d’Europa, mentre la storia sembra essersi data appuntamento tra quelle stesse mura che nel 1914 furono testimoni della visita di Lenin, di passaggio in città. La serata è perfetta, il confronto è serrato, il segretario generale della Cgil sente visibilmente sulla sua pelle la drammaticità di un tema, quello dell’emigrazione dei giovani italiani, ripresa a ritmi che non si conoscevano più da un secolo. “In Italia i diritti non ce li hanno mai regalati. Se li abbiamo è perché qualcuno, prima di noi, si è battuto per ottenerli. La mia angoscia è di non riuscire a fare altrettanto”. Lo dice, ricordando a tutti il dovere di lottare per questo, ai ragazzi che, uno dopo l’altro, prendono la parola, disegnando la propria parabola.

Ogni storia è un colore che dipinge a tinte fosche l’Italia contemporanea. Un Paese dal quale fuggire. Lo racconta Marina che da Brindisi è emigrata due volte, prima a Roma per laurearsi, poi a Bruxelles, dove riusciva a mantenersi già con lo stage. “La scelta di andarmene, da donna del Sud, era nel mio destino. Se fossi rimasta non avrei mai fatto la vita che faccio qui”. Parola di Manuele da Lucca, in perpetua emigrazione. Prima Valencia, poi Ginevra, adesso la capitale belga. E poi Sara, romagnola, con la sua bimba che gattona sul palco e la sua storia italiana precedente di frustrazione e precarietà che l’ha spinta a trasferirsi: “qui si respira un’aria di possibilità e di prospettiva che in Italia non c’è”. Landini li ascolta con evidente partecipazione, risponde con le storie della sua giovinezza, quando se qualcosa non andava bene era ancora possibile reagire, impuntarsi. Quando il centro per l’impiego ti trovava davvero un impiego. “L’ho avuto così il posto da saldatore. E non mi chiesero ‘chi ti manda’ o ‘di chi sei figlio’. Perché migrare – dice il leader della Cgil – dovrebbe essere una libertà, non una necessità”. Ma il nostro Paese a volte non lascia scelta. È stato così per Laura, che in Italia si sentiva una cittadina di serie B e per sposare la sua compagna è dovuta andare a Helsinki. O per Queenia, italiana di fatto, ma, fino allo scorso anno, non di diritto. Ha dovuto attendere trent’anni per avere la cittadinanza, senza poter mai varcare il confine, rinunciando a studiare all’estero. Ha tenuto duro, anche per principio, ma appena ha ottenuto i documenti si è trasferita in Inghilterra.

O per Ivan, metalmeccanico friulano a cui prima hanno chiuso la fabbrica, poi tolto gli ammortizzatori sociali. Ha seguito la sua compagna a Bruxelles e qui, senza aver mai pagato le tasse, ha ottenuto un corso da ascensorista e oggi ha un contratto a tempo indeterminato e guadagna quasi il doppio di prima. Sono queste le vicende che stanno dietro ai grandi numeri citati da Inca Cgil e Itaca, gli ideatori di questa giornata, iniziata con una tavola rotonda al Parlamento Europeo alla quale, oltre a Landini, hanno partecipato, tra gli altri, il deputato Pierfrancesco Majorino e il presidente del patronato Michele Pagliaro. 130 mila italiani migrano ogni anno, la metà giovani, il 30 per cento di questa metà laureato. Nell’Unione Europea sono 20 milioni le persone che attualmente vivono e lavorano in un paese diverso da quello di origine. Cifre che danno dimensione a un fenomeno che suggerisce al segretario una citazione spontanea: “Lavoratori di tutto il mondo…dove va a finire questa frase…unitevi! Perché la nostra battaglia deve avere, come obiettivo, un processo di ricostruzione della solidarietà tra tutti. Un processo che rimetta al centro il lavoro come strumento di realizzazione personale e di libertà. Sapete come nasce il Primo Maggio? Dalle lotte per ridurre l’orario di lavoro. Lotte affrontate insieme e con coraggio dai lavoratori di molti paesi, in un’epoca in cui si lavorava 12 ore al giorno, sette giorni su sette”. Un’esortazione, quella del segretario, a ricordare che, se restiamo uniti, niente è impossibile. Perché nessuno si salva da solo. Una scintilla che illumina questa notte di gelido inverno, sospesa tra vecchie e nuove storie, tra le note di Bruce Springsteen all’inizio e quelle di Bella Ciao alla fine, nella Maison du Peuple del Parvis de Saint-Gilles, un vecchio edificio pieno di fascino che ancora resiste all’ombra dei grattacieli di vetro e cemento.

Il video integrale dell’evento alla Maison du Peuple: https://bit.ly/36jfJ3j

L’intervista a Michele Pagliaro, presidente Inca Cgil:
https://bit.ly/2RMiNQf

Foto di copertina: Elio Germani.