In tutto il mondo, la giornata del 25 novembre è dedicata all’eliminazione della violenza sulle donne. Il 2020, con gli effetti devastanti della crisi che la pandemia ha portato con sé, ha messo in luce le disparità di un sistema globale in cui le donne – specie quando particolarmente vulnerabili, magari molto giovani, precarie o migranti – sono tra le prime a subirne gli effetti. Vi raccontiamo le origini di questa giornata e perché è così importante ricordarle proprio oggi
Il 25 novembre 1960, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, tre giovani sorelle dominicane, vennero sequestrate, torturate e uccise su ordine del dittatore della Repubblica Dominicana Rafael Trujillo. Si stavano recando a trovare i mariti in carcere, prigionieri politici della dittatura di Trujillo, che le tre sorelle avevano subito e combattuto nel corso di tutta la loro vita. L’omicidio delle sorelle Mirabal – las Mariposas (le “Farfalle”, come erano conosciute nel movimento in opposizione alla dittatura), fu il culmine brutale di un regime che della violenza sistematica sul genere femminile – così come di feroci politiche razziste e xenofobe, aveva fatto la propria odiosa bandiera.
Da allora, le sorelle Mirabal sono diventate uno dei simboli della resistenza femminista, in America Latina e nel resto del mondo. Vent’anni dopo, il 25 novembre del 1981, si tenne in Colombia il primo “Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche” e da quel momento quella del 25 novembre è stata riconosciuta come data simbolo della lotta per i diritti delle donne: con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, le Nazioni Unite hanno istituzionalizzato il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
Sono trascorsi esattamente sessant’anni dall’omicidio delle sorelle Mirabal. A livello internazionale, numerosi “passi legislativi” sono stati compiuti: dalla Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna del 1979, alla Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza sulle donne del 1993, fino alla più recente Convenzione n°190 dell’ILO sull’eliminazione della violenza e delle molestie sui luoghi di lavoro – quest’ultima, adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel giugno 2019 e in attesa, in Italia, dell’approvazione del Senato per la ratifica.
Se questi strumenti hanno un’importanza cruciale e sono indispensabili per la tutela delle donne vittime di violenze e discriminazioni e per garantire il rispetto dei diritti di tutte le donne, in tutto il mondo, parallelamente è necessario un cambiamento radicale nella struttura delle nostre società, affinché queste siano effettivamente libere da tutte le forme di discriminazione di fatto che coloro che si trovano in condizioni di maggiore vulnerabilità e marginalità subiscono quotidianamente.
Il 2020, con gli effetti devastanti che la crisi economica e sociale dovuta alla pandemia ha portato con sé, ha scoperchiato brutalmente la scatola di un sistema economico e produttivo in cui chi è più fragile è destinato ad essere tra i primi a soccombere: e questo, naturalmente, è anche il caso di tutte quelle donne, lavoratrici e madri impiegate in lavori precari o “atipici”, magari in nero, o nei settori più in crisi: in Italia, così come all’estero. E’ relativamente recente, ad esempio, l’allarme lanciato dai sindacati europei sul Gender Pay Gap, il divario salariale di genere che negli ultimi anni ha raggiunto livelli critici in tutta l’Unione europea – livelli acuiti e aggravati dagli effetti della crisi. Tutto questo, ci ricorda Eurostat, in un’Europa in cui il tasso di occupazione femminile è ancora decisamente inferiore a quello maschile. O ancora, le stesse Nazioni Unite parlano di Shadow Pandemic (potremmo dire, “gli effetti nascosti della pandemia”), per descrivere come dallo scoppiare del COVID-19 tutti i dati e gli studi abbiano dimostrato che tutte le forme di violenza contro donne e ragazze, a partire dalla violenza domestica, si sono intensificate.
In questo contesto, dunque, giornate come quella del 25 novembre ci servono, sì, a ricordare e a mantenere viva la memoria. La memoria delle origini di lotte e sacrifici di giovani donne come le sorelle Mirabal che si sono poi trasformate in processi di lotte e rivendicazioni collettive, di tutte le donne e di tutti gli uomini del mondo. Ma questa giornata, questo 25 novembre ci serve anche – forse ancor più – a ribadire la necessità di continuare nel lavoro di sensibilizzazione, prevenzione, rivendicazione e tutela dei diritti e di come questo lavoro sia necessario portarlo avanti, ovunque nel mondo, tutte e tutti insieme: perché un torto, una violenza, un’ingiustizia subita da una donna in qualunque parte del mondo sia un torto, una violenza, un’ingiustizia subita da tutti.