Settembre 2019 si caratterizza come un mese all’insegna della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico: dal 20 al 27 settembre milioni di persone si mobiliteranno per il terzo “Global Climate Strike”, con iniziative ed adesioni in tutto il mondo, compresa quella della CGIL. In questa occasione, pubblichiamo un approfondimento dell’ETUI sul rapporto tra nuove politiche “green”, Europa sociale e mondo del lavoro.
Il 10 settembre 2019 presso la sede dello European Trade Union Institute (ETUI) a Bruxelles si è tenuta una conferenza dal titolo “Climate change policies and social sustainability: a new impetus for Social Europe?”.
Il dibattito si è inserito nel contesto del cosiddetto “Green Deal” della nuova Commissione europea, e pochi giorni prima della settimana dedicata al terzo sciopero globale sul clima: dal 20 al 27 settembre, infatti, milioni di persone in tutto il mondo si mobiliteranno nel terzo “Global Climate Strike”, attraverso centinaia di iniziative volte a fare pressione sul vertice delle Nazioni Unite in programma per il 23 settembre a New York.
Il dibattito organizzato dall’ETUI a Bruxelles si è concentrato sulle interconnessioni tra politiche “green”, Europa sociale e mondo del lavoro. Si è dunque partiti dal tema della sostenibilità nella sua dimensione sociale, rilevando come i rischi dati dagli attuali cambiamenti climatici ed ambientali debbano condurre ad un inevitabile ripensamento dell’organizzazione e dei mezzi adoperati nel mondo del lavoro e di una serie di interventi per non trascurare la dimensione sociale e continuare a garantire i diritti delle persone e dei lavoratori.
Alla conferenza hanno preso parte vari esperti del settore, tra cui esponenti della DG Occupazione, Affari Sociali ed Inclusione della Commissione (DG EMP), ricercatori di ETUI, dell’Observatoire Français de Conjonctures Economiques (OFCE) e della European Climate Foundation.
Secondo un’inchiesta riportata nel Report annuale della Commissione europea in materia di lavoro e affari sociali e citata durante la conferenza, il tema della sostenibilità è risultato tra le principali preoccupazioni dei cittadini europei nel 2018.
Tra i partecipanti al dibattito, una questione-chiave è sembrata mettere tutti d’accordo: se un cambiamento di rotta appare necessario, ciò che risulta più complesso è trovare il modo più “giusto” per attuare la “transizione” verso un modello più sostenibile. Una “giusta transizione”, appunto.
I rappresentanti della Commissione europea si sono dichiarati “ottimisti” al riguardo. Uno dei principali obiettivi dichiarati dalla nuova Commissione europea è raggiungere la “climate neutrality” entro il 2050 – in sostanza: ridurre le emissioni di CO2 e l’impatto umano sul clima a zero, in continuità con l’Accordo di Parigi. Questa “tranzizione green”, sostengono gli esperti della Commissione, porterebbe a più di 2 milioni di posti di lavoro nel 2050 e bilancerebbe la “polarizzazione” determinata dalla digitalizzazione, avvantaggiando settori che necessitano di qualifiche medio-basse e che, altrimenti, verrebbero penalizzati.
Secondo la Commissione, alcuni degli effetti gravemente negativi del cambiamento climatico, sono “povertà energetica” e un conseguente peggioramento della qualità della vita: nell’ultimo decennio, maggiori difficoltà sono già state riscontrate soprattutto per le classi medio-basse in Paesi come Grecia, Spagna, Italia, Lituania e Malta.
Se la Commissione ha enfatizzato come le abitudini di consumo possano dare un contributo importante al problema del cambiamento climatico, la European Climate Foundation ha sottolineato la necessità di una radicale “rivoluzione culturale” dalla quale, sostiene, siamo ancora lontani e che dovrebbe anzitutto avvenire a livello collettivo, non demandando la responsabilità alle singole persone.
Il vero punto nevralgico, la questione-chiave nel dibattito odierno sul clima riguarda tuttavia il tema della “giusta transizione”, ossia come portare avanti una transizione verso un’Europa verde e sostenibile che non scarichi sui lavoratori i costi sociali di queste politiche e al tempo stesso determini la nascita di nuove opportunità occupazionali.
Come è stato ricordato nel corso della conferenza proprio da un ricercatore dell’ETUI, oggi esistono settori occupazionali molto più “inquinanti” di altri, sviluppati in modo disomogeneo nei vari Paesi e regioni europee. Anche se più del 70% della forza-lavoro in Europa è impiegata in lavori “climate-friendly”, è proprio il restante 30% ad essere impiegato nei settori trainanti dell’economia (manifatturiero, estrattivo, agricolo, trasporti). Come fare per rivoluzionare quei settori, tutelando e garantendo i lavoratori e i posti di lavoro?
Una “Giusta Transizione” – le cui linee guida sono state elaborate dall’ILO e contenute nel Preambolo dell’Accordo di Parigi e nella Dichiarazione di solidarietà e giusta transizione di Silesia del 2018 – risulta quindi un processo delicato e non semplice, che richiede una forte volontà politica di tutti i soggetti in campo ed una stretta collaborazione tra istituzioni e parti sociali, oltre che adeguate risorse finanziarie ed un lasso di tempo opportuno per poterla attuare. L’obiettivo è chiaro: perseguire al tempo stesso la de-carbonizzazione e la giustizia sociale, l’unico modo per garantire il rispetto dei diritti umani, standard di vita elevati per tutti, opportunità di lavoro dignitose e uno sviluppo veramente sostenibile.
La costruzione di un’“Europa verde”, del resto, è uno degli obiettivi contenuti nel Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che tra i suoi venti principi include anche il diritto per tutti, incluse le persone in difficoltà, di accedere a servizi essenziali di qualità come acqua, igiene, energia e trasporti, oltre al diritto a un’educazione inclusiva e di qualità, a una formazione e a un’istruzione continua e infine ad un’adeguata protezione sociale.
Immagine di copertina dalla pagina Facebook Fridays For Future Europe
Qui il sito ufficiale del terzo Global Climate Strike