A casa, nel mondo

Decreto sicurezza, sindaci “ribelli” e il primato della Costituzione

Filippo Giuffrida
03 Gennaio 2019

Con l’entrata in vigore del decreto sicurezza, allo scadere del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non sarà più possibile per tutti i cittadini stranieri che l’avevano ottenuto iscriversi all’anagrafe; la norma colpisce anche i minori non accompagnati e gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Nelle ultime ore, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ha deciso di sospendere in parte l’applicazione del decreto sicurezza nel proprio Comune, per quanto riguarda le norme che negano la possibilità di concedere la residenza a chi ha un permesso di soggiorno. L’iniziativa ha innescato una profonda riflessione politica, ottenendo il consenso e l’appoggio di numerosi altri primi cittadini in tutto il Paese.

In seguito alle prese di posizione dell’ANPI su queste vicende, abbiamo chiesto a Filippo Giuffrida, socio fondatore di ITACA e responsabile ANPI Europadi condividere con noi le sue riflessioni.

La gerarchia delle fonti è praticamente quanto di più sacro esista per i giuristi.

Il principio “lex superior derogat legi inferiori” s’impara al primo anno di giurisprudenza e resta un faro per chiunque debba applicare il diritto. È così che si tacitano le circolari ministeriali o comunali che si discostano dalla legge.

Ma c’è poi un altro principio. Etico e politico. E volendo anche giuridico, codificato – ad esempio – nel Regolamento di Disciplina Militare che prescrive che il militare al quale venga impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisca comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine ed informare al più presto i superiori.

È il dubbio che comincia a serpeggiare in queste ore: tra un partito che rappresenta il 17% dei votanti – ovvero circa un decimo degli Italiani – sostenuto da una maggioranza attaccata alla cadrega e che ha già mostrato di sfaldarsi proprio su questo dispositivo ed un gruppo di sindaci, gente eletta con maggioranze ben più importanti, gente a contatto con le città, coi territori, chi ha più diritto di parlare di sicurezza e di cittadini?

Se un sindaco, se un gruppo di sindaci, trovan nella Costituzione e nel diritto internazionale i motivi per rigettare un abominio giuridico approvato da un Parlamento sovrano, le granitiche certezze del giurista entrano in crisi.

Perché secondo l’articolo 13 del decreto Salvini, il permesso di soggiorno costituisce sì un documento di riconoscimento, ma non dà diritto – a differenza di quanto avveniva in passato – all’iscrizione all’anagrafe. Che, di fatto, impedisce ai minori di frequentare scuole pubbliche o agli adulti di iscriversi al servizio sanitario nazionale. Strano Paese quello in cui si vota un partito che spinge per le autonomie locali e che con una legge interviene per limitare le stesse, togliendo al Sindaco – Ufficiale di Stato Civile – il diritto di gestire l’anagrafe e spinge per la regionalizzazione del Servizio Sanitario, ma regolandolo dall’alto.

Allora, nel dubbio, io sto con Mimmo Lucano, con Leoluca Orlando, con de Magistris, con Falcomatà, con Pizzarotti e Nardella.

Sto con i sindaci che cominciano a chiedersi se obbedire ad una legge dubbia o a principi superiori.

Forse è questo ricominciare la politica dal basso?
Non il partito dei sindaci, che ieri c’illuse ed oggi c’illude, ma un movimento di cittadini.

Cittadini sani, belli, veri. Che dietro le fasce tricolori, con la Costituzione in mano, facciano rispettare la vera volontà popolare espressa nella Suprema Carta – che garantisce allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Sedizione forse?

Aspetto i Bucci, le Raggi, le Appendino ed i tanti altri sindaci, che abbiano il coraggio per opporsi ad un decreto che, nei fatti, è un ricatto.

Perché questo pare sia in corso: “Non avrete i soldi ed al momento non mandiamo l’esercito”.
Convinti che o con i soldi o con le minacce si possa comprare la dignità, come già faceva Berlusconi prima e come farebbe Bolsonaro in Brasile.
Con metodi che in Italia ricordano tanto quelli della malavita organizzata, più che quelli della legalità.
Un decreto che rispecchia la volontà di nascondere dietro un’uniforme e uno scudo il bisogno di esercizio di potere.

Sindaco. La cui etimologia rimanda a Sindicus, il patrocinatore, colui che difende i diritti.

Forse gli unici a poterci ancora difendere …