A casa, nel mondo

“In Limbo-Our Brexit Testimonies”: intervista alla fondatrice del progetto, Elena Remigi

Redazione

Il 10 Ottobre 2018, in occasione della presentazione del libro “In Limbo too” presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, la redazione di ITACA ha intervistato l’autrice del libro e fondatrice del progetto “In Limbo – Our Brexit Testimonies”, Elena Remigi.

Il progetto consiste in una raccolta di testimonianze con l’obiettivo di dar voce a coloro che hanno risentito in prima persona dei potenziali cambiamenti apportati dal referendum sulla Brexit: le cittadine e i cittadini. I racconti e le esperienze di oltre 300 tra donne e uomini sono stati riuniti e pubblicati nei due volumi “In Limbo” e “In Limbo too”, che narrano rispettivamente le storie dei cittadini europei e britannici residenti nel Regno Unito e le storie dei cittadini britannici che si sono trasferiti nel resto d’Europa.

Elena, sappiamo che il tuo percorso di mobilità nel Regno Unito è iniziato ormai molti anni fa, portandoti a trasferirti prima in Irlanda e poi, nel 2005, in Inghilterra. Ti va di ripercorrere brevemente insieme a noi le tappe principali di questa tua esperienza? Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinta ad approdare nel Regno Unito e quali le tue aspettative? Hai trovato ciò che ti aspettavi?

Innanzitutto, come studentessa ho viaggiato molto. Ho poi deciso di seguire mio marito in Irlanda, trovando lavoro come traduttrice e nel 2005 ci siamo definitivamente trasferiti in Inghilterra. Non avevo grandi aspettative, ma ho sempre nutrito un grande amore per l’Inghilterra, che ho considerato la mia casa fino al giorno del referendum; in quel momento ho avvertito che qualcosa era cambiato. Attraverso le testimonianze che sono state lette oggi, si è parlato di “Home and Identity”, ovvero, di questo senso di identità che è multiplo perché, per quanto mi riguarda, mi sono sempre sentita in primo luogo cittadina europea, poi italiana e infine anche britannica. Dentro di me rimane sempre l’amore per il Paese che mi ospita e il desiderio di lottare affinché vengano rispettati i diritti dei cittadini europei e britannici.

“Immagina di aver lasciato il tuo Paese di origine perché volevi vivere il “sogno europeo”. Immagina di esserti innamorato del tuo nuovo Paese, di esserti sposato, di aver avuto figli, una carriera. Ti sentivi felice, ti sentivi a casa. Poi un giorno, dopo anni o addirittura decenni, tutto cambia. Le tue certezze, la tua vita e la tua sicurezza sono sparite. E con loro il tuo senso di identità. Improvvisamente ti senti perso in un doloroso limbo”. Con queste parole presentate il vostro progetto, “In Limbo”. Qual è stata la tua esperienza personale all’interno del “Limbo”?

Il mio limbo personale è stato quello di scoprire, dopo aver vissuto 13 anni in Inghilterra, che l’Home Office non mi riconosceva come una cittadina britannica e mi ha continuamente richiesto una quantità interminabile di documenti che confermassero la mia presenza in Inghilterra. La stessa cosa è successa a centinaia di altre persone – per fare solo un esempio, altre donne che, come me, essendo mamme e casalinghe o lavoratrici atipiche, quindi senza un “ufficio fisico”, faticano a dimostrare di essere cittadine del Paese in cui vivono. La definisco sempre come un’esperienza kafkiana, perché ho dovuto paradossalmente dare prova di “esistere” in un Paese in cui avevo vissuto per 13 anni.
Io ho lasciato il mio Paese per trasferirmi in Inghilterra ed essere una cittadina nella mia nuova “casa” in Europa, che non necessariamente era più quella in cui sono nata: è questa l’idea della libertà di movimento, per me, perché siamo immigrati ma restiamo comunque cittadini. Oggi, nel “limbo” in cui la Brexit ha trascinato me ed altri milioni di cittadini, vedo messa a rischio questa libertà.

Il 23 giugno 2016, dicevamo, improvvisamente tutto cambia. Il voto per il referendum sulla Brexit è chiaro: la Gran Bretagna uscirà dall’Unione Europea. Quello che non è altrettanto chiaro è cosa ciò significherà in termini d’impatto sulla vita e sui diritti dei cittadini. Il risultato referendario ha aperto scenari incerti – confermati da negoziati interminabili e faticosi, il cui esito è ancora tutt’altro che definito. Un effetto su tutti, però, è lampante: da un giorno all’altro, circa 5 milioni di persone, tra cittadini europei residenti in UK e cittadini Britannici residenti in altri paesi UE, hanno visto i loro diritti a rischio di essere messi in discussione. Qual è stata – e qual è – la percezione individuale e collettiva in merito a questo rischio? Quali le maggiori paure?

Premessa: quando ho scelto il nome del libro, non avrei mai pensato di trovare un titolo più adatto. Esso riassume la sensazione di incertezza, l’incapacità di fare programmi per la vita, la paura di alcune persone – e soprattutto quelle appartenenti alle categorie più deboli (come ad esempio le persone disabili, in quanto beneficiarie di benefits) rispetto all’eventualità di poter essere espulsi da un Paese in cui si erano costruite una vita, o stavano cercando di farlo. Non sappiamo in che modo si concluderanno i negoziati e se il governo sarà in grado – o avrà la volontà – di garantire i nostri diritti. Allo stesso modo, anche il Settled status pone tantissimi problemi. È vero che sembra una “application” facile, ma essendo una domanda, beh, può comunque ricevere una risposta negativa.
A livello individuale, ognuno di noi continua a provare una sensazione di rabbia e stanchezza: una stanchezza che si protrae ormai da 28 mesi. Ventotto mesi di incertezza, in cui molti sono addirittura caduti in un vero e proprio “limbo psicologico”, dovuto a un forte sovraccarico di emozioni, preoccupazioni e stress.

Veniamo al progetto “In Limbo”. Abbiamo letto che l’hai ideato e sviluppato già a partire dal Marzo 2017, quando hai aperto la pagina Facebook “Our Brexit Testimonies” per raccogliere testimonianze di altri cittadini europei che come te vivono e lavorano nel Regno Unito. Quali sono state le ragioni che ti hanno spinta all’azione? Hai iniziato il progetto da sola o hai potuto contare su una “rete” di supporto?

Nessuna “rete”, almeno all’inizio. Ho cominciato questo progetto da sola, ma ero convinta della necessità di dar voce alla persone. Mi capitava spesso di leggere sui commenti ai quotidiani in riferimento alla Brexit, dai quali affioravano sentimenti di rabbia, disperazione e preoccupazione. Una preoccupazione che, era evidente, non era più solo individuale ma collettiva. Ho deciso allora di unire queste voci per crearne una più forte. Noi, cittadini europei residenti nel Regno Unito, siamo quelli che non hanno avuto il diritto di votare per il Referendum.
È iniziato tutto il 5 Marzo del 2017 e nonostante i timori di non ottenere grandi risultati all’inizio fossero molti, io rispondevo sempre: “Rome wasn’t built in a day”. Sono sempre stata determinata perché difronte a un’ingiustizia sento il bisogno di reagire. Mi sono detta: “Se io che ho, tutto sommato, una posizione stabile e una famiglia senza particolari problemi economici, mi trovo in una situazione del genere, cosa può succedere a chi invece si trova in una situazione più difficile della mia?”.

Il riscontro avuto dal gruppo “Our Brexit Testimonies”, infatti, è stato impressionante: oltre mille adesioni nel primo mese dalla sua creazione…come te lo spieghi?

Innanzitutto, abbiamo cercato di creare, all’interno del gruppo Facebook, un ambiente sereno dove le persone potessero sentirsi a proprio agio. Leggendo diversi commenti sui social networks, mi sono resa conto che ce n’era davvero bisogno. Ed è sicuramente il credere in un’idea, e al tempo stesso divenire sempre più consapevoli di non essere soli a farlo, ciò che le dà forza. Alla fine siamo riusciti a ideare un progetto, supportato dal crowfunding, che ci permettesse di pagare con le royalties i libri che abbiamo successivamente pubblicato ed inviato a centinaia di MEPs [membri del Parlamento europeo, ndr].

Arriviamo quindi al primo libro, “In Limbo”. Si tratta di una raccolta di testimonianze di cittadini europei e britannici residenti nel Regno Unito, per dar voce ai loro timori ed alle loro esperienze nel clima post-Brexit. Perché hai sentito l’esigenza di un lavoro simile? Ricordiamo che i cittadini europei attualmente residenti nel Regno Unito sono oltre tre milioni…

Credo che i libri possiedano una forza dirompente e grazie ad essi si sono vinte tante battaglie. Il mio obiettivo è quello di far sì che le voci di tutti restino preservate per il futuro al fine di dar vita a una “memoria storica collettiva”.
La copertina del libro non ha nomi, ed è stata una scelta precisa: al centro del progetto “In Limbo” ci sono tutti i cittadini, quindi l’obiettivo era mantenerlo, anche visivamente, una voce collettiva. Da un punto di vista stilistico, abbiamo preferito lasciare piena libertà agli autori delle testimonianze, mantenendo il linguaggio specifico di ognuno, in modo da far trasparire la multiculturalità dei cittadini europei nel Regno Unito. Così che un domani, quando si studierà questo fenomeno, questo libro potrà fornire delle testimonianze autentiche. Ma è, contemporaneamente, un libro che vuole aiutare un po’ tutti a riflettere sui valori comuni, su cosa vuol dire essere cittadino e sentirsi, allo stesso tempo, un immigrato.

Contemporaneamente, dall’altro lato della Manica, circa due milioni di cittadini UK s’interrogano sulle loro sorti nei Paesi europei in cui risiedono. E così arriviamo a “In Limbo too”, che hai appena presentato al Parlamento europeo. Ci racconti qualcosa? Hai riscontrato lo stesso tipo di paure e difficoltà emerse per i cittadini europei in UK, o ci sono delle differenze?

In realtà, il progetto iniziale avrebbe dovuto raccogliere in un unico libro tutte le testimonianze, sia quelle dei cittadini europei nel Regno Unito che quelle dei britannici in tutta Europa, perché siamo due facce della stessa medaglia. Inizialmente, però, non avevamo abbastanza contatti con altri gruppi per sviluppare un progetto così vasto. Successivamente, per il “secondo capitolo” il gruppo Brexpats-Hear Our Voice ha collaborato con noi per la stesura del volume ed altri gruppi, tra cui “Bremain”, hanno partecipato al progetto.

I problemi pratici sono, in parte, diversi, ma la sofferenza è unica. Da un lato, i cittadini europei si trovano a vivere in un “hostile environment” che si è venuto a creare nei loro confronti e si trovano costretti a domandarsi: “Where is our home?”, “Dov’è casa?”. Dall’altro i cittadini britannici, nonostante siano generalmente ben accetti negli altri Paesi europei, si vedono privare della libertà di movimento garantita dall’Unione e sono consapevoli del fatto che si troveranno di fronte ad un limbo giuridico se le cose andassero male.

Tra le testimonianze raccolte nei due volumi, ce n’è una che ritieni particolarmente significativa?

Mi piace molto la testimonianza “Watching waiting and hurting”, che è stata esposta all’inizio della presentazione, probabilmente per il concetto di attesa, una sorta di “Aspettando Godot”. Un’altra particolarmente significativa è quella di una signora inglese sposata con un cittadino romeno, residenti entrambi nel Regno Unito. Sia lei che il marito sono stati vittime di atteggiamenti di odio razziale e xenofobia e si sono ritrovati costretti a dover lasciare il Paese, chiedendosi: “Dove possiamo andare? Chi ci vorrà?”. Mi commuove molto pensare alla sensazione di rifiuto che molti di questi cittadini provano venendo cacciati da un Paese che erano abituati a considerare “casa” e non essendo affatto sicuri che saranno accettati da un altro.

Come testimoniato da molti dei racconti che abbiamo ascoltato durante la presentazione, il voto sulla Brexit – e il clima politico che l’ha determinato e seguito – ha provocato un aumento drammatico di sentimenti ed episodi di odio e di razzismo nei confronti degli stranieri in UK. Tutto questo che impatto ha sulla percezione di sé e della propria identità? Come superare, oggi, questa divisione tra “noi” e “loro”?

Un elemento lampante, a cui ho accennato durante la presentazione del libro, è il senso di vergogna che oggi molti inglesi provano di fronte a questo sentimento crescente ed esasperato di odio e razzismo. Ci sono persino testimonianze di inglesi che vorrebbero rinunciare alla propria cittadinanza, con un atteggiamento che è ormai diventato quasi di “rifiuto” verso il proprio Paese.
La vergogna però, può essere anche considerata come un sentimento positivo. Spesso proprio perché si prova vergogna si decide di fare “un passo in avanti” e di mettersi nei panni dell’altro: ecco, io penso che solo facendo questo “sforzo di empatia” si possa trasformare una situazione di potenziale conflitto in una battaglia comune e lottare per superarlo, insieme. Quello che più mi ha colpito è che la Brexit ha creato una divisione profonda nella società inglese, famiglie e comunità completamente divise, spezzate. Questo si supera con pazienza, cercando di rieducare le persone ai valori comuni.

E’ questo quindi il messaggio che volete veicolare attraverso il vostro progetto, anche in termini di diritti e di cittadinanza, nell’Europa dei nostri giorni?

Secondo me, oggi non si può più parlare di cittadinanza di un solo Paese: noi siamo innanzitutto cittadini europei che godono della libera circolazione delle persone ed è proprio questo che sta alla base del “sogno europeo”. Il messaggio è dunque innanzitutto la necessità di riscoprire l’importanza di essere cittadini europei e del mondo. Quello di identità è un concetto assai complicato, perché non esiste più un’identità unica, quanto piuttosto una “stratificazione” di diverse identità. La vera bellezza sta nel sentirsi a casa in ogni Paese in cui andiamo e l’Europa, nella concezione dei padri fondatori, ha provato a costruire questa “casa comune”. Per cui, penso che vada difesa l’idea dell’Europa dei popoli, senza divisioni e in cui ognuno possa sentirsi libero e accolto ovunque vada, al di là della propria origine.

Per concludere, alla luce dei recenti aggiornamenti, quali sono le tue considerazioni, preoccupazioni – e soprattutto auspici riguardo l’evoluzione della questione Brexit nei prossimi mesi, “pre” e “post” 29 marzo 2019, data dell’uscita ufficiale della Gran Bretagna dall’UE? L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato a luglio 2018, proprio a Londra, in occasione di una nostra iniziativa sulla Brexit. È cambiato qualcosa da allora?

Non molto, in verità. Per quanto riguarda i cittadini, l’obiettivo prioritario nel breve periodo è quello di garantire il rispetto dei diritti anche in caso di non accordo. In questo modo possiamo provare a far sì che i cittadini, soprattutto quelli appartenenti alle categorie più vulnerabili, possano tirare un “respiro di sollievo”. Il popolo inglese sembra risvegliarsi e – anche se forse un po’ tardi, ma mai dire mai – voler combattere per impedire che il progetto di Brexit vada avanti. C’è, in alcuni, l’aprirsi alla speranza di un nuovo referendum. Ma l’obiettivo principale, che è anche l’idea fondante del libro, resta quello di riuscire a cambiare. Cambiare approccio rispetto allo straniero, rispetto ai temi dell’emigrazione e della cittadinanza. Se, anche solo attraverso queste testimonianze, si resta colpiti e si comincia a porsi delle domande e vedere la persona davanti a sé in modo diverso, allora forse il cambiamento è davvero possibile…

Elena Remigi, originaria di Milano, risiede nel Regno Unito da oltre 10 anni. È interprete, traduttrice, insegnante di lingue, fondatrice del progetto “In Limbo- Our Brexit Testimonies” e co-editrice dei volumi “In Limbo” e “In Limbo too: Brexit Testimonies from EU citizens”.

Per approfondimenti, ecco i link al sito internet e alla pagina Facebook del progetto.