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Per capire il cambiamento climatico ci serve una riflessione culturale globale

Francesco Bossi

In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, pubblichiamo un approfondimento sulla questione del cambiamento climatico a cura di Francesco Bossi (INCA Regno Unito)

Si e’ svolto sabato 11 maggio presso la sede INCA CGIL UK di Londra Highbury l’evento del Partito Democratico “Capire il cambiamento climatico”. Valentina Marincioni, teaching fellow all’Institute for Environmental Design and Engineering della UCL, ha delineato l’attuale situazione climatica dal punto di vista scientifico e mostrato come i risultati degli studi più recenti confermino le conclusioni che l’IPCC (l’Intergovernmental Panel of Climate Change dell’ONU) fornisce da circa 30 anni ai rappresentanti dei vari governi. La crescita delle emissioni di CO2 e degli altri gas ad effetto serra è correlata causalmente con l’aumento della temperatura media globale. E nell’ultimo trentennio le annate che registrano caldo record si sono susseguite in modo continuo.

Roxana Borquez, ricercatrice del King’s College, ha poi illustrato la situazione internazionale in merito al recepimento dell’accordo di Parigi del 2015 mentre Riccardo Patrian, giornalista di ICIS Energy, ha analizzato le politiche energetiche dei vari paesi in relazione alla necessità di ridurre le emissioni. Nel contesto dei piani energetici nazionali, a fronte della politica energetica degli Stati Uniti, che risente della scelta di Trump di smantellare l’operato ambientale del suo predecessore e di rilanciare le fonti fossili, emerge inaspettatamente un’Italia che è di fatto riuscita a raggiungere molti degli obiettivi di riduzioni delle emissioni che erano stati decisi alcuni anni fa – probabilmente aiutata in questo dalle contrazioni della sua economia avutesi nel 2008 e 2011.

Il tema del cambiamento climatico è complesso, e malgrado abbia guadagnato recentemente l’attenzione dei media non è ancora riuscito ad ottenere l’attenzione sociale e politica che meriterebbe e non viene ancora compreso nella sua urgenza.

La presentazione del problema da parte dei media rivela infatti quasi sempre una impostazione culturale fortemente riduzionistica. Il riscaldamento climatico viene presentato come un fenomeno uniforme e costante, che procede quasi meccanicamente in modo lineare di pari passo con l’aumento della CO2 e degli altri gas serra. La crisi climatica viene concepita quindi come un processo reversibile, fintantoché si riesca ad effettuare una riduzione delle emissioni.

Questa impostazione si è andata formando nei media e nell’immaginario popolare nel corso degli ultimi 30 anni sulla base dei rapporti dell’IPCC, che si fondano prevalentemente sulle previsioni elaborate da modelli climatologici informatici e vengono redatti con il linguaggio tecnico volutamente cauto e moderato della diplomazia internazionale.

 

Gli studi però ci dicono che il clima è un sistema dinamico che è strettamente connesso non soltanto con i parametri fisici e chimici dell’atmosfera, ma anche con i fattori biologici, i sistemi viventi, cioè la vita stessa. L’interazione dinamica tra i vari fattori naturali, e in particolare quelli biologici, fa sì che il cambiamento climatico possa procedere in modo “non lineare”. Ci sono infatti dei fenomeni naturali che si innescano una volta che la temperatura globale cresce oltre certe soglie di limite, e che una volta attivati sono capaci di influenzare a loro volta l’aumento della temperatura globale stessa e gli altri paramentri climatici. Un esempio è lo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno perennemente ghiacciato che si trova a poca profondità nelle tundre della Siberia settentrionale e di altre zone subartiche. Una volta che lo strato di ghiaccio sotterraneo si scioglie, il materiale organico fossile liberato dal ghiaccio viene reso disponibile all’azione dei batteri che metabolizzandolo liberano quantità notevoli di metano. Il metano, sebbene sia meno longevo della CO2, è un gas che è circa 20 volte più potente per quanto riguarda la capacità di trattenere il calore all’interno dell’atmosfera.

Un altro fenomeno connesso con il clima e che coinvolge fattori biologici è quello legato alla temperatura superficiale delle acque oceaniche. Una volta che le acque di superficie superano i 12 gradi centigradi, i livelli superficiali dell’oceano si stratificano e ostacolano il rimescolamento con le acque più profonde, che sono ricche di nutrienti. Le alghe di superficie, private delle sostanze nutritive provenienti dagli strati più profondi, non riescono a sopravvivere. Morendo le alghe, cessa la loro produzione in atmosfera di particolari sostanze chimiche a base di zolfo, come il DMS, il cui ruolo chiave nella formazione delle nuvole è stato solo recentemente compreso.

Questi meccanismi ecologici di “biofeedback positivo” sono ancora poco conosciuti e il loro impatto dinamico e sistemico sulla crisi climatica è in larga parte ignorato. Si continua a immaginare il cambiamento climatico secondo un modello meccanicistico, come una sorta di gigantesca caldaia da riparare.

Per quanto riguarda le azioni da mettere in atto, è ormai chiaro che la riduzione delle emissioni di gas serra non basta più e bisognerebbe adoperarsi anche per ridurre attivamente la quantità di CO2 già presente in atmosfera. Siamo ormai oltre le 410 parti per milione di CO2 , a fronte delle 280 ppm dell’epoca preindustriale. Si invocano invenzioni di geoingegneria che presentano rischi immensi e la cui realizzazione è difficile, e si tende a ignorare il ruolo vitale degli ecosistemi. Le foreste primarie sono naturali bacini di sequestro di carbonio, ma continuiamo a permetterne la distruzione. L’oceano ha un ruolo chiave per la formazione di ossigeno e per la creazione delle nuvole, ma nulla o poco si fa per proteggerne la vita. In particolare, il ruolo dei batteri sembra essere cruciale per la vita sul pianeta.

Le foreste stesse, almeno quelle primarie come quella amazzonica e quelle del bacino del Congo, sono immensi sistemi dinamici che “creano” il clima, ma anche al tempo stesso ne dipendono. La distruzione delle foreste per creare pascolo o terreno agricolo (fenomeni legati per lo più all’allevamento intensivo di bovini su scala locale, o alla coltivazione di raccolti destinati a produrre mangime per gli allevamenti bovini europei e nordamericani) non è la sola minaccia per questi ecosistemi. Il clima stesso, una volta che la temperatura media globale superi una certa soglia, può provocare sistemicamente il collasso dell’intero ecosistema pluviale tropicale e la sua trasformazione in savana semiarida. La savana che potrebbe sorgere al posto della foresta amazzonica avrebbe una capacità di sequestro di CO2 estremamente inferiore rispetto alla foresta pluviale.

Un altro elemento chiave della natura “non lineare” del cambiamento climatico è rappresentato dal ruolo dei poli. Gli scienziati pensano che possano mancare pochi anni (forse solo due o tre) all’evento di un oceano artico completamente privo di ghiacci durante la fine dell’estate, nel mese di settembre. Quando questo avverrà, verrà a mancare l’azione di “albedo” delle superfici bianche dei ghiacci, capaci di riflettere nello spazio una buona parte dell’energia elettromagnetica dell’irradiazione solare. L’oceano scuro e liquido che sostituirà il ghiaccio avrà invece la capacità opposta di immagazzinare il calore solare, e questo molto probabilmente imprimerà un’improvvisa e violenta accelerazione al riscaldamento globale, alterando oltretutto la traiettoria consolidata delle correnti oceaniche e il loro ruolo nella dinamica del clima globale.

La crisi climatica andrebbe quindi compresa in modo organico. E andrebbe sempre considerata insieme all’altra crisi che sta colpendo il pianeta, quella ecologica, che è stata definita come la sesta estinzione di massa della vita sul pianeta, in corso per cause umane. Abbiamo spazzato via il 60% della biomassa naturale selvatica (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) soltanto negli ultimi 50 anni. La popolazione umana globale nel frattempo è più che raddoppiata. Le popolazioni di insetti, che sono alla base di gran parte degli ecosistemi terrestri, sono particolarmente minacciate in tutto il pianeta e molti studi recenti suggeriscono addirittura il rischio della loro imminente estinzione a livello globale. Se questa davvero avvenisse, la sopravvivenza stessa del genere umano verrebbe messa a repentaglio.

Il cambiamento climatico richiede quindi una profonda riflessione culturale. La rivoluzione industriale e’ stata un enorme esperimento. Si è potuta realizzare grazie allo sviluppo della scienza, che ha portato infiniti vantaggi materiali, e grazie a determinate premesse culturali e filosofiche. La concezione filosofica della natura come macchina priva di vita, assemblaggio grezzo di risorse da sfruttare, sviluppata pienamente da Cartesio e Bacone, era un’idea i cui fondamenti erano stati posti già dall’antica filosofia presocratica greca. Diffusa in tutto il pianeta tramite la rivoluzione scientifica e il colonialismo, ha posto le premesse per la distruzione di gran parte degli ecosistemi globali. Questo processo ha portato immensi benefici materiali, ma anche un inaspettato prezzo da pagare. Nessuno degli intrepidi uomini d’occidente ansiosi di vincere la natura, di “soggiogarla e dominarla come una donna” (per usare l’espressione di Bacone) si aspettava forse che il prezzo da pagare si sarebbe manifestato improvvisamente tre secoli dopo. E che sarebbe stato un prezzo talmente salato da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del genere umano.

Non si sa se la macchina in corsa dell’attuale sistema economico potrà essere fermata in tempo e riprogettata, in modo da salvaguardare la vita del pianeta e un habitat adatto alla specie umana. Sicuramente vale la pena tentare di farlo il più presto possibile. E andrebbe fatto seguendo un approccio organico, comprendendo che la crisi del clima ha le stesse cause della crisi ecologica, e che le soluzioni potrebbero venire soltanto da un radicale ripensamento del nostro modo di rapportarci alla vita stessa.